Il 7 febbraio 1864 moriva a Vienna Vuk Stefanovic Karadzic, considerato da molti il padre del serbo moderno.
Karadzic nacque a Trsic, un villaggio della Serbia occidentale in cui la casa del letterato – ricostruita fra le due guerre mondiali – è ancora oggi visitabile. Dopo aver partecipato alle due rivolte serbe contro i dominatori ottomani, egli viaggiò molto, soggiornando soprattutto a Vienna, dove nel 1818 pubblicò un dizionario di serbo con grammatica. Proprio nella capitale dell’impero asburgico, Karadzic strinse legami con il linguista sloveno Jernej Kopitar, che condivideva le di lui idee riformatrici. Karadzic sosteneva infatti la necessità di semplificare il serbo utilizzato in ambito ecclesiastico, introducendo elementi popolari: oltre a Kopitar, lo incoraggiò un altro filologo serbo pan-jugoslavo, Djuro Danicic, che promosse l’istituzione della lingua serbo-croata. Una delle riforme più importanti di Karadzic fu quella dell’alfabeto cirillico, che ridusse il numero delle lettere a trenta e introdusse il principio della corrispondenza tra ogni suono e ogni grafema. Per tutta la vita Karadzic continuò a raccogliere testi della tradizione popolare serba. Dopo la morte, le sue spoglie furono trasportate da Vienna a Belgrado nel 1891 e seppellite nella chiesa Saborna crkva della capitale serba, dove si trovano tuttora.
Karadzic è oggi, assieme al proprio maestro Dositej Obradovic, generalmente considerato il padre della lingua e della letteratura serba moderna: spesso le persone citano il suo motto “scrivi come leggi”, che si rifà al principio ortografico della corrispondenza tra grafemi e fonemi. Nonostante sia oggi considerato alla stregua di un vero e proprio eroe nazionale, le sue idee non furono subito ben accolte, soprattutto negli ambienti della corte serba e della Chiesa ortodossa: il mitropolita di Sremski Karlovci, ad esempio, riteneva che la traduzione del Nuovo Testamento fatta da Karadzic fosse scandalosa. Col tempo le sue idee ebbero la meglio e attualmente la figura di Vuk Karadzic mostra un interessante paradosso: nonostante egli fosse promotore di idee linguistiche e culturali pan-jugoslave, oggi – dopo le guerre degli anni Novanta – è considerato un simbolo dell’identità serba.