Il quotidiano britannico The Guardian scrive che “il Kosovo ha accusato la Serbia di essere dietro a un gruppo paramilitare che domenica ha teso un’imboscata a una pattuglia di polizia e si è scontrato con le forze kosovare”.
Il quotidiano prosegue affermando che le autorità di Pristina, per dimostrare le loro affermazioni, hanno mostrato una serie di armi moderne che, a loro dire, il gruppo stava utilizzando, tra cui due autoblindo di fabbricazione serba e un lanciagranate, insieme a un documento che dimostrerebbe che il lanciagranate, prodotto dall’azienda di armi Zastava, era stato fornito dall’esercito serbo.
Il governo kosovaro ha anche affermato che il leader del gruppo era un importante politico serbo del Kosovo fedele al presidente serbo, Aleksandar Vučić, e che uno dei tre combattenti paramilitari uccisi domenica era un’ex guardia del corpo di Aleksandar Vulin, il capo dell’intelligence serba sanzionato dagli Stati Uniti a luglio per corruzione – prosegue il Guardian.
“Questo gruppo proviene dalla Serbia, è stato addestrato in Serbia, finanziato da loro e anche equipaggiato dall’esercito serbo e dalla sua polizia”, ha dichiarato al Guardian Xhelal Sveçla, ministro degli Interni kosovaro.
Il governo serbo ha negato con veemenza il suo coinvolgimento nel conflitto, ma ha tenuto una giornata ufficiale di lutto per i tre morti. “Vučić ha cercato di giustificare le proprie azioni sostenendo falsamente, in un incontro con l’ambasciatore russo a Belgrado, che il governo kosovaro stava attuando una pulizia etnica. Il Kosovo sostiene che il gruppo fosse guidato da Milan Radoičić, il vice leader del partito Lista Serba, sostenuto da Belgrado, che domina la politica nelle quattro municipalità a maggioranza serba del Kosovo settentrionale”, riporta il Guardian e cita ancora Sveçla, secondo il quale i servizi segreti del suo Paese ritengono che Radoičić, che è stato sanzionato da Stati Uniti e Regno Unito, sia stato ferito e si stia riprendendo nel principale ospedale militare di Belgrado.
L’affermazione non ha potuto essere verificata in modo indipendente.
Radoičić non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche, ma il ministro degli Esteri serbo, Ivica Dačić, ha affermato che un video che mostrava Radoičić tra i paramilitari era una “frode”.
Lo scontro si è verificato in un momento di stallo dei colloqui promossi dall’UE per normalizzare le relazioni tra i due Paesi, con Vučić che ha giurato che non riconoscerà mai il Kosovo e il governo kosovaro che di conseguenza si è rifiutato di istituire un’associazione semi-autonoma di municipalità serbe”. Gli Stati Uniti hanno sostenuto i colloqui e finora si sono schierati con l’Europa attribuendo la maggior parte della colpa del loro fallimento al primo ministro kosovaro, Albin Kurti. Ma l’amministrazione Biden sta indagando sul coinvolgimento di Belgrado nell’unità paramilitare, cercando di scoprirne la missione. Se si scopre il coinvolgimento di Vučić, potrebbe cambiare l’approccio ai negoziati da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, che sono stati criticati dai legislatori di entrambe le sponde dell’Atlantico in quanto prevenuti nei confronti di Belgrado. Potrebbe anche portare a sanzioni contro la Serbia – sostiene il Guardian.
Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha condannato l’attacco alla polizia kosovara e ha dichiarato: “Gli autori di questo crimine devono essere chiamati a rispondere attraverso un processo investigativo trasparente. Chiediamo ai governi del Kosovo e della Serbia di astenersi da qualsiasi azione o retorica che possa infiammare ulteriormente le tensioni”, ha aggiunto Blinken, esortando Belgrado e Pristina a “ritornare al dialogo facilitato dall’UE”.
Edward P. Joseph, ex vice-capo della missione in Kosovo dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ha affermato che se Belgrado fosse dietro il gruppo paramilitare, gli Stati Uniti dovrebbero ripensare il loro approccio alla regione. “Il punto è che gli appelli al dialogo sono vuoti ora che l’intera strategia statunitense – coltivare la Serbia di Vučić come ‘partner’ – è saltata”, ha detto Joseph, ora senior fellow alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies di Washington.
(Danas, The Guardian, 28.09.2023)
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