Sentenza Mladic: il passato che eclissa il presente

Il processo di Norimberga si concluse il primo ottobre 1946, poco più di un anno dopo la fine della seconda guerra mondiale. La condanna all’ergastolo comminata ieri a Ratko Mladic dal Tribunale Penale Internazionale mette la parola fine, solo dal punto di vista penale, alle guerre degli anni Novanta, 18 anni dopo la loro fine formale e 23 anni dopo la guerra in Bosnia per i cui massacri Mladic è stato condannato. Basta questo dato per cogliere la radicale differenza tra i Balcani di oggi e l’Europa di settant’anni fa, che con i Trattati di Parigi nel 1951 si era già data una visione e un indirizzo per il futuro. 

Tra i tanti commenti alla condanna di Ratko Mladic, quello che colpisce è l’assoluta mancanza di visione per il futuro: la riconciliazione è lasciata genericamente alle nuove generazioni; i legami economici che crescono nella regione, anche tra Serbia e Kosovo, restano sconosciuti; decine di migliaia di giovani altamente qualificati che da tempo hanno oltrepassato frontiere e barriere mentali non trovano ascolto.  Più facile rivangare un passato che si crede di conoscere che un presente complesso e contraddittorio. Tanto che ieri l’edizione online de La Stampa ha oziosamente ripubblicato un commento scritto cinque anni fa, in occasione  della cattura di Mladic, quando lo scenario politico ed economico della Serbia e dell’intera regione era significativamente diverso.

Di certo non si può rinunciare alla ricerca della verità giudiziale e storica (da cui tanti paesi, che oggi si ergono a Soloni delle vicende jugoslave, non uscirebbero benissimo), ma porre costantemente una regione o una nazione davanti allo specchio del proprio passato, per pigrizia, opportunismo o cinismo, non potrà mai aiutarla a pensare e rivendicare un proprio futuro. Le ferite delle guerre si rimarginano ma non si dimenticano e le violente polemiche che seguirono la pubblicazione de I volenterosi carnefici di Hitler di Daniel Goldhagen dimostrano  che né il benessere economico, né l’interessata benevolenza durante la guerra fredda, né la stabile pace con gli antichi nemici consentono a una nazione di accettare facilmente le proprie colpe, anche a distanza di due generazioni.

Il passato è una trappola solo quando non si conosce il futuro che si vorrebbe costruire. 

Oggi la Serbia vuole sviluppare una politica multilaterale che vorrebbe ricollegare idealmente alle posizioni della Jugoslavia di Tito. Ma ognuno dei suoi interlocutori vede il suo futuro in maniera differente, e rispondente ai suoi interessi: gli Stati Uniti vorrebbero vedere la Serbia quanto prima parte della NATO; la Federazione Russa sogna la Serbia quasi come un enclave russa nei Balcani; l’emirato di Abu Dhabi opera per acquisire in Serbia lo spazio fisico e politico che non ha in Europa; per la Cina la Serbia è un asse logistico e produttivo di grande importanza per la realizzazione del braccio europeo della strategia “One Belt, one Road”; la Turchia vuole pesare sempre di più in termini politici ed economici nei Balcani e, più o meno indirettamente, nei dossier che l’Unione europea tiene aperti con la regione. Dell’Unione Europea non si conosce davvero il futuro, anche quello che vede per la Serbia: ufficialmente ansiosa di accoglierla come membro entro pochi anni, in pratica timorosa proprio del peso che questi nuovi paesi stanno sempre più acquisendo nel paese, anche se non proprio a causa delle sue incertezze. Paradossalmente, più tempo passa e più indistinte si fanno le scadenze europee, più spazio politico ed economico acquisiscono i paesi la cui influenza è temuta dalla stessa Unione. 

Paul Klee, Angelus Novus, 1920

Paul Klee, Angelus Novus, 1920

Per alcuni la condanna a vita di Mladic dovrebbe essere un’interpretazione definitiva degli avvenimenti che esonera dalle loro responsabilità molti paesi europei e non, lasciando la Serbia meno libera di pensare un futuro e prigioniera della trappola del proprio passato: la peggiore condanna che possa espiare un popolo.

Così l’angelo della storia di Paul Klee, che sfugge da qualcosa cui guarda fissamente, continua a visitare i Balcani. Forse qualcuno addirittura vorrebbe che fissi lì il suo domicilio permanente.

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One Reply to “Sentenza Mladic: il passato che eclissa il presente”

  1. Monika Ranieri ha detto:

    Riflessione complessa e necessaria che andrebbe ulteriormente sviluppata perché i piani di lettura sono molteplici, dalla miopia e ristrettezza di vedute (e competenze) del giornalismo mainstream italiano alla propaganda internazionale, dall’intreccio di interessi economici a calcoli politici meno individuabili in superficie, dalle relazioni nella regione ad una indiscutibile precarietà delle situazioni interne in Bosnia e Kosovo che agevolano usi strumentali delle relazioni con la Serbia. Personalmente ritengo che non sia mai stato avviato un processo di elaborazione della memoria in Serbia, quanto piuttosto di rimozione, che ancora fa comodo alla classe politica perché consente di fare leva su residuali ondate nazionaliste, deviando l’attenzione da questioni sociali più sostanziali, dall’altro è sintomatico di come le cose sono effettivamente andate: c’è sicuramente un deprimente e soggiacente senso di colpa e di inadeguatezza rispetto alle accuse della comunità internazionale ma questo si associa anche alla sensazione di aver perso qualcosa e con ciò non intendo la guerra. Qualcosa che è stato sottratto alla Serbia ed in qualche modo la comunità internazionale ne è responsabile. Dunque quale colpa ci si dovrebbe assumere e di fronte a chi? E tutto sommato, il motivo per cui si continua a parlare di Serbia congelandola in un’immagine senza futuro è proprio lo stesso per cui la dissoluzione della Jugoslavia ha fatto comodo ad Europa e non solo. Meglio che siano deboli e asserviti (e dal momento che continuano ad essere “cattivi” non può essere diversamente) quindi manipolabili e sotto controllo. Almeno, questa è, molto sommariamente, la mia opinione.

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