Edward P. Joseph, professore associato presso l’Università americana Johns Hopkins, ha pubblicato sul sito della rivista “Foreign Policy” un testo autoriale come proposta per una “nuova strategia dell’Occidente” per il Kosovo.
Nel testo egli afferma che alla Serbia per riconoscere l’indipendenza del Kosovo, è necessario offrire “un’affermazione” piuttosto che una “compensazione”, ovvero offrire delle concessioni significative e aiuti finanziari e militari degli Stati Uniti, e se nel caso in cui il presidente della Serbia,, Aleksandar Vucic, decidesse di respingere o sabotare il nuovo approccio – sulla Serbia si scaglierebbe una “sgradevole punizione”, sotto forma di un più forte sostegno degli USA all’esercito del Kosovo, forti pressioni nel riconoscere l’indipendenza del Kosovo e la negazione degli aiuti UE allo sviluppo della Serbia.
L’alto socio della Scuola Internazionale di Studi Avanzati, di questa famosa Università di Baltimore, nell’articolo intitolato “La Serbia ha bisogno del rispetto kosovaro e non della terra” si richiama all’accordo di Prespa raggiunto tra Atene e Skopje, sulla creazione del nome Macedonia del Nord, il quale “rimuove tutti gli ostacoli per un futuro pieno di rispetto e cooperazione tra i due ex avversari – sottolineando il ruolo del Primo Ministro greco, Alexis Tsipras, nel “superamento di decenni di rabbia” attraverso questo “accordo rivoluzionario”.
Allo stesso tempo, Joseph ricorda la dichiarazione fatta dal Presidente serbo Aleksandar Vucic, l’8 maggio ai media, che non riconoscerà il Kosovo al costo di perdere il proprio potere.
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Il professore statunitense, che per dieci anni è stato attivo nei Balcani e in Kosovo durante gli attentati della NATO del 1999, afferma che la “Serbia e il Kosovo sono rimasti bloccati nell’intolleranza reciproca” e afferma che “sono falliti gli sforzi dell’Unione europea, sostenuti dali Stati Uniti, al fine di raggiungere un accordo sulla divisione tra il Presidente della Serbia e il Presidente Kosovo, e hanno provocato solo atteggiamenti nazionalisti”.
Joseph scrive che “approfittando della barbarie dagli anni ’90 del secolo scorso, i membri del Parlamento (Kosovaro), dalla schiera degli albanesi etnici, hanno accusato le forze serbe di genocidio. Questa affermazione è stata respinta con rabbia da Belgrado, la quale ha chiamato i suoi avversari di Pristina ‘teppisti’ e ‘criminali’.
Egli stima che “colmare il divario nella politica relativa al Kosovo – il più antico conflitto nella regione e il più inquietante – è una questione che deve essere risolta al più presto”.
“Con la Bosnia ed Erzegovina traballante, la Russia che continua a incoraggiare le divisioni e l’Europa che continua ad esitare, il pesante fardello dei Balcani ricade ancora una volta sugli Stati Uniti. Per riprendersi dai recenti relitti occidentali, Washington deve estrapolare il nucleo di ciò che è stato fatto in Macedonia e applicarlo al Kosovo”, afferma Joseph.
Joseph afferma che il piano che Vucic e Thaci hanno sostanzialmente visto come uno scambio di territorio, potrebbe dare un’impulso alle forze centrifughe che minacciano di “rompere” la Bosnia e riaprire la questione delle frontiere in tutta la regione, motivo per cui, dice Joseph, la Cancelliera tedesca Angela Merkel ha voluto affondare subito questo piano al Summit regionale di Berlino, tenutosi alla fine del mese scorso.
Allo stesso tempo, egli osserva che né la Merkel né gli altri leader hanno dato una decente alternativa.
“La Francia prevede di ospitare altri colloqui di alto livello a luglio. Ma le basi per la prosecuzione del dialogo sul Kosovo rimangono oscure – tranne nel caso di una novità: sia Vucic che Thaci hanno richiesto la partecipazione degli Stati Uniti”, dice Joseph.
Secondo lui, è esattamente questo ciò che da la “forza”, e “Washington dovrebbe, come prima cosa, richiedere ad entrambe le parti di porre immediatamente fine al ciclo di provocazioni”.
“Finora, la strategia occidentale per il Kosovo si è basata sul presupposto sbagliato: qualcosa è stato visto come una necessità di risarcire il Presidente serbo perché guida il suo paese a perdere una della sue province. Una compensazione, che porta ad una logica destabilizzante o alla divisione, non coglie il punto … La divisione lascerà i serbi a sopportare un’eterna ingiustizia, facendo gravare i loro rapporti con il Kosovo e gli altri vicini”, afferma Joseph, aggiungendo che i serbi considerano il Kosovo “l’indescrivibile cuore e anima della nazione serba”.
Egli menziona anche il “Centro comune di pace e storia” che avrebbe “uno status ufficiale e sarebbe in luoghi importanti sia a Pristina che a Belgrado, e dove le bandiere di entrambi i paesi ostenterebbero”, e “l’approccio parallelo vedrebbe il forte desiderio di giustizia in entrambi i paesi”, mentre “gli Stati Uniti e l’UE fornirebbero un quadro dettagliato affinché entrambi i paesi possano perseguire i ben noti (e meno noti) autori di crimini contro l’altra comunità”.
Se Vucic dovesse rifiutare o sabotare questo approccio, Joseph dice che Washington dovrà optare per una “alternativa spiacevole”.
“La scelta di Vucic sarà quella di negoziare una soluzione onorevole, che porterà la Serbia verso l’UE entro il 2025 o di vedere gli Stati Uniti e le capitali europee rappresentare il Kosovo nel 2025, grazie all’intenso sforzo transatlantico per costruire lo stato kosovaro. Ed in questo caso il privilegio di ottenere una relazione speciale e potenzialmente lucrativa con il Pentagono, andrebbe al Kosovo piuttosto che al Ministro della Difesa di Serbia”, dice Joseph.
Egli scrive che “usando i punti di forza della NATO, Washington farebbe pressione sugli alleati per rafforzare il loro sostegno all’esercito del Kosovo”.
Precedentemente il profesore Joseph aveva già scritto per “Foreign Policy” sul tema del Kosovo, così all’inizio dell’anno scorso, nel testo autoriale “L’omicidio potrebbe essere ciò di cui il Kosovo ha bisogno”, ha affermato che l’omicidio di Oliver Ivanovic a Kosovska Mitrovica “potrebbe essere uno slancio per una pace duratura in Kosovo”, aggiungendo che però Belgrado continua ostinatamente ad illudersi di poter separare il nord dalla sua “ex provincia”.
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