Al di là di un’imponente recinzione metallica addobbata da sciolti riccioli di filo spinato, i container blu, appena posizionati ordinatamente in fila lungo il confine meridionale dell’Ungheria, a Röszke, forniscono un’idea dei nuovi piani del Primo Ministro, Viktor Orbán, per detenere migliaia di richiedenti asilo, bambini inclusi.
E’ attualmente in corso, in Ungheria, la costruzione dei nuovi campi di detenzione e della seconda recinzione elettrificata, che si estende per 108 miglia lungo il confine con la Serbia, nonostante l’opposizione virulenta da parte delle Nazioni Unite, organizzazioni per i diritti umani e una sentenza della Corte europea che si sperava potesse fermare la determinazione del paese ad imprigionare rifugiati e richiedenti asilo.
Il Presidente Janos Ader ha firmato il disegno di legge, che rende possibile la detenzione di tutti i richiedenti asilo nei campi, consentendo inoltre alla polizia di rimandare in Serbia i richiedenti asilo da qualsiasi parte del paese. Orbán, leader del partito di destra populista Fidesz, ha definito la migrazione come un “cavallo di Troia per il terrorismo”, considerando gli immigrati musulmani una minaccia per l’identità e la cultura europea.
Più di 7.000 richiedenti asilo che tentano di raggiungere l’Europa occidentale sono bloccati in Serbia, al di fuori dell’UE, a seguito della decisione dell’Ungheria, la scorsa estate, di introdurre rigorose limitazioni al numero dei rifugiati cui è permesso l’ingresso nel paese entrare. Sono cominciate quindi a circolare, lungo i confini, le pattuglie di un’ala della forza di polizia conosciuta come Határvadász, o cacciatori di confine.
In un campo di transito aperto a Subotica, in Serbia, a 15 miglia dal confine, dove le famiglie ed i bambini non accompagnati attendono che le loro richieste di asilo siano valutate in Ungheria, i funzionari sostengono che la nuova legge provocherà problemi alla Serbia e maggiori difficoltà per le persone qui.
“Per gli ungheresi siamo una specie di deposito”, afferma Nikola Ljubomirovic, coordinatore del campo, gestito dal Commissariato della Serbia per i rifugiati e migranti. “Il problema è che l’Ungheria riceve solo cinque persone ogni giorno nella zona di transito più vicina, a Horgos. Abbiamo 153 persone qui, ma una capacità per 128. Le persone qui sono molto tristi e alcune arrabbiate. Le famiglie possono trascorrere un anno in Serbia. Ci sono un sacco di ragazzi che parlano serbo qui”, racconta Ljubomirovic.
In un cortile, al centro del campo, Ariza Barotsada, 25 anni, dall’Afghanistan, in avanzato stato di gravidanza e già madre di due bambini, ha paura. “E’ vero che ci rinchiuderanno in containers?” Chiede. Lei e la sua famiglia sono stati, sinora, nell’arco di un periodo di otto mesi, in otto campi diversi della Serbia: “Stiamo avendo problemi qui. Molte persone si sono uccise in altri campi in Serbia. Nulla è chiaro. Quanto tempo dobbiamo aspettare? Forse domani, forse tre settimane, forse mesi. I nostri figli non hanno futuro, istruzione. Quando abbiamo sentito parlare della nuova legge, tutti hanno pianto”.
La maggior parte delle famiglie in questo campo fuggono dai conflitti in Siria, Iraq e Afghanistan. Hanno compiuto viaggi difficili, ma sono ora sprovviste delle risorse che consentirebbero loro di cercare altre vie per l’Europa. La loro unica opzione è quella di chiedere asilo in Ungheria. Si trovano ad affrontare una lunga attesa. Nel gennaio di quest’anno l’Ungheria ha ridotto il numero dei richiedenti asilo che accetta quotidianamente dalla Serbia dai 200 del 2015 a 10. La decisione sulle dieci persone a cui è concesso l’ingresso nelle due zone di transito, Horgos e Kelebija, è arbitraria, tutt’altro che trasparente, e sembra essere gestita in parte da leader della comunità di rifugiati, cosa che determina incertezza e confusione tra le famiglie già disperate.
Ljubomirovic prevede un focolaio di manifestazioni e scioperi della fame in Serbia, simili a quello messo in scena dai migranti in Ungheria la scorsa settimana: “La Serbia è un paese molto povero e abbiamo un sacco di migranti qui. Dovranno rimanere qui più a lungo e la loro disperazione aumenterà. Sarà il caos”.
Ma le proteste rischiano di cadere nel vuoto. Nel contesto della retorica anti-migranti, gli ungheresi sono meno tolleranti, più timorosi e considerano i rifugiati come un peso, in misura maggiore rispetto agli altri europei, come dimostrato da un sondaggio Pew dello scorso anno.
Secondo le cifre dell’Agenzia dell’ONU per i rifugiati, UNHCR, 29.500 persone hanno inoltrato domanda di asilo in Ungheria lo scorso anno, il 90% tramite la Serbia, prima della chiusura della rotta dei Balcani. L’anno scorso l’Ungheria ne ha accettate 425, rispetto alle 280.000 della Germania. Ma Orbán continua ad insistere che il suo paese è sotto “attacco” dei migranti. Il governo ha impiegato enormi somme di denaro per una campagna di sei mesi condannata come xenofoba da parte di gruppi per i diritti umani, prima del fallimento del referendum sulle quote migranti dell’UE lo scorso ottobre.
L’ostilità nei confronti dei migranti ha preso una piega più sinistra negli ultimi mesi. La scorsa settimana Medici Senza Frontiere (MSF) ha invitato l’Ungheria ad indagare sul numero crescente di accuse di “diffusa e sistematica” violenza da parte della polizia, dopo la segnalazione del trattamento di 106 migranti, tra cui 22 minori, per lesioni causate da percosse, morsi di cane e spruzzi di pepe nel corso dell’ultimo anno.
Christopher Stokes, Direttore generale di MSF, ha dichiarato: “Siamo presenti in altri paesi sulla via dei Balcani e in Grecia. Queste sono le peggiori accuse di brutalità della polizia di frontiera”. Le autorità ungheresi hanno respinto le accuse di maltrattamenti dei rifugiati e hanno descritto il rapporto di MSF come “privo di fondamento “.
Tra i migranti, che vivono in prossimità di un campo non ufficiale in una ex fabbrica di mattoni a Subotica, per lo più uomini soli e minori non accompagnati, tali accuse sono comuni.
Ulhaq Arar, 23 anni, fuggito dal Pakistan con i suoi due fratelli sostiene di aver affrontato minacce di morte da gruppi radicali, e racconta di essere stato picchiato da uomini in uniforme in Ungheria in ciascuna delle quattro occasioni in cui aveva tagliato con successo la recinzione di confine, attraversandola. “Ci hanno picchiato e ci hanno aizzato contro cani senza museruola. Ci hanno spogliato e scattato foto”.
Human Rights Watch e il Comitato di Helsinki in Ungheria, che hanno documentato in modo indipendente rapporti simili di violenza, tra cui alcuni nei confronti di bambini, da parte di persone in uniformi simili alla polizia, hanno scritto al Commissario europeo, Dimitris Avramopolous, chiedendogli di intervenire contro i presunti abusi e contro la detenzione dei richiedenti asilo in quanto violazione del diritto comunitario e internazionale. Avramopoluos dovrebbe presto recarsi in Ungheria per discutere la questione, secondo un portavoce della Commissione europea.
La sentenza della Corte europea dei diritti umani potrebbe consentire ad ogni richiedente asilo in Ungheria la richiesta di ricorso a Strasburgo. La Corte ha assegnato a due uomini del Bangladesh, arrestati e deportati illegalmente nel 2015 dall’Ungheria, € 10.000 ciascuno a titolo di risarcimento. I richiedenti asilo erano stati trattenuti nella zona di transito alla frontiera con la Serbia per 23 giorni, e, secondo la sentenza della Corte “privati della libertà, senza alcuna decisione formale motivata e senza revisione giudiziaria appropriata”.
La Corte di Strasburgo ha inoltre rilevato che le autorità ungheresi avevano omesso di effettuare una valutazione individuale del caso dell’asilo di ciascun richiedente. Il governo ungherese può presentare ricorso. Timea Kovacs, un avvocato del Comitato di Helsinki per l’Ungheria, ha riferito di aver avuto un colloquio con 25 persone in un campo aperto che desiderano essere rappresentati. “Hanno paura di essere, in virtù della nuova regola, nuovamente costretti nella zona di transito”, ha spiegato. “Abbiamo iniziato a prepararci contro questa situazione disumana”.
(The Guardian, 19.03.2017)
Foto di copertina: I migranti di fronte ad una barriera al confine con l’Ungheria, nei pressi del villaggio di Horgos, in Serbia, nel 2015, Marko Djurica/Reuters.
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