Elezioni, politica e futuro in Serbia: il punto di vista dei giovani della diaspora

La retorica sulla diaspora serba è molto presente nel dibattito politico nazionale, ma raramente si spinge oltre i limiti di una generica chiamata al patriottismo o, più banalmente, del sostegno finanziario dall’estero cui molti serbi si affidano ancora per far fronte alle esigenze quotidiane.

Ma c’è un altro tipo di diaspora serba, fatta di migliaia di giovani ragazze e ragazzi di talento e ben istruiti che non hanno potuto trovare in Serbia un lavoro adeguato alle loro capacità e aspettative. Questa diaspora intellettuale potrebbe essere una grande risorsa per lo sviluppo del paese, ma il dibattito politico in vista delle elezioni presidenziali di domenica prossima ha quasi completamente ignorato il punto.

Abbiamo chiesto a quattro giovani professionisti serbi che vivono a Bruxelles, la capitale dell’Unione Europea, oggetto di desiderio e di paura della politica nazionale, di condividere con Serbian Monitor le loro opinioni in merito all’immagine del paese all’estero, allo scenario politico e al loro futuro in relazione al futuro della loro patria.

In relazione al dibattito politico attuale, i nostri giovani intervistati mostrano una reazione comune: scetticismo.

Stevan Randjelovic ha lavorato per il Ministero degli Affari esteri di Serbia, per la Commissione europea (DG CONNECT), per l’European Young Innovators Forum (EYIF),  per l’European Gaming and Betting Association (EGBA), e per l’Associazione europea delle Agenzie di comunicazione (EACA). Si è laureato presso l’Università di Belgrado, è stato visiting scholar presso l’Università di Washington (USA), and ha conseguito un master in studi europei presso il College of Europe (Belgium).

“Non cambierà nulla. Siamo tutti bloccati nelle nostre bolle di social media che, almeno nel mio caso, suggeriscono che ci sarà un cambiamento nella percezione del pubblico circa il partito al governo e la sua invincibilità. Ma questa è la mia bolla di social media, e ne sono consapevole. Mi sono spinto nelle altre, per capire dove le cose si stanno muovendo e la risposta è semplice: nessun cambiamento. Almeno per altri cinque anni. I serbi sono una folla resiliente”, afferma Stefan Randjelovic, lobbista a Bruxelles e collaboratore di uno dei più rispettati quotidiani serbi, Politika.

Alla sua visione fa eco Gavrilo Nikolic, specialista per gli affari europei presso Schuttelaar&Partners: “non vedo alcun cambiamento immediato. L’unico scenario che posso prevedere è la vittoria attuale del Primo Ministro Aleksandar Vucic al secondo turno. Senza un candidato unico e senza elezioni parlamentari concomitanti, l’opposizione non ha alcuna possibilità”.

Gavrilo Nikolic è uno specialista di affari europei presso Schuttelaar&Partners, con particolare riguardo alle politiche sanitarie e dell’agricoltura dell’UE. Dopo gli studi in Diritto Internazionale presso l’Università di Belgrado, ha conseguito un Master in Politica europea a Leuven. Anche se cittadino di Bruxelles, segue ancora da vicino gli sviluppi politici in Serbia e nei Balcani.

Gavrilo aggiunge: ”Vucic ha dimostrato di essere un giocatore intelligente in campo politico serbo non commettendo l’errore, che Boris Tadic fece nel 2012, di indire elezioni presidenziali anticipate insieme a quelle parlamentari regolari. Se Vucic avesse fatto lo stesso, avrebbe perso entrambe. Tuttavia, ha dimostrato di avere abbastanza esperienza da non commettere lo stesso errore”.

Ksenija Simovic, PR e responsabile della comunicazione presso COPA-COGECA, sottolinea: “A volte la memoria sembra essere breve. La maggior parte di questi candidati sono sulla scena politica da un po’, credo che se vogliamo davvero agire come cittadini responsabili, dovremmo votare e farlo in modo razionale e ben informato. Vorrei solo che tutta la popolazione della Serbia fosse ben informata, che valutasse bene e decidesse sulla base dell’agenda passata, presente e futura dei candidati”. Per Jana Zaric la speranza è “dopo queste elezioni, la creazione di una nuova, o almeno aggiornata, opposizione, il che porterà, si spera, ad un cambiamento politico nella prossima tornata elettorale”.

Ksenija Simovic è responsabile della comunicazione presso il COPA-COGECA, voce unanime degli agricoltori e delle loro cooperative nell’Unione europea. In precedenza è stata tirocinante presso la Commissione Europea a Bruxelles e ha lavorato per l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, nel settore comunicazione e relazioni esterne. Dopo aver ottenuto la laurea in Cooperazione Internazionale e Sviluppo all’Università La Sapienza di Roma, e un Master in Studi Europei presso l’Università di Twente, Ksenija ha intrepreso il Master in Alti Studi Europei presso il Collegio d’Europa di Parma.

Tutti i nostri interlocutori sono concordi sulla positività della candidatura di Ljubisa Preletalevic “Beli” alle elezioni presidenziali.

“Conosco Ljubisa personalmente. E’ un ragazzo molto intelligente e il suo movimento ha dimostrato di essere una grande forza a livello locale, soprattutto perché riunisce figure di spicco non politiche e giovani. Tuttavia, è giunto il momento per loro di crescere ed evolvere a livello nazionale. Purtroppo, in assenza di elezioni parlamentari, non saranno in grado di mobilitare molto sostegno. D’altra parte, certamente guadagneranno una piccola percentuale di voti, in tal modo mitigando la questione delle ‘schede bianche’, un’espressione ben nota che descrive l’astensionismo in occasione delle frequenti elezioni in Serbia. In ogni caso, io sicuramente vedo il suo movimento in crescita. Il “Movimento Cinque Stelle” serbo, nato dal coraggio civile di Luka Maksimovic (alias Ljubisa Preletacevic Beli) deve ancora raggiungere il suo massimo splendore”, sostiene Gavrilo Nikolic. “Mi piace Beli perché mette a nudo l’assurdità attuale del nostro sistema politico e il fatto che la gente è stanca di vedere le solite vecchie facce. Comunque, non riesco ad elogiarlo, e mi rende triste constatare il punto cui è giunta la scena politica serba: ad essere ridicolizzata. Merita il ridicolo. Ma dovrebbe essere migliore e più dignitosa”, sottolinea Stevan Randjelovic, mentre per Jana Zaric “L’idea in quanto tale è molto potente. Il contenuto è purtroppo piuttosto scarso e incoerente. Si tratta di un movimento sociale molto sano. Ma è un segnale politico “non sano”, poiché i problemi politici non possono essere risolti grazie a battute divertenti”.

Jana Zaric è laureata in management e ha oltre 13 anni di esperienza professionale nel settore dei media. Dopo aver partecipato al lancio e alla gestione della copertura mediatica on-line relativa all’adesione della Serbia all’Unione europea a Belgrado, come parte della rete di media online pan-europea, Jana ha ricevuto l’offerta di raggiungere la sede centrale a Bruxelles. Si è trasferita a Bruxelles durante l’estate del 2016.

Ksenija Simovic considera Luka Maksimovic (il vero nome di Preletalevic “Beli”) “molto intelligente e carismatico. C’è un’onda in tutto il mondo, generata da informazioni facilmente condivisibili attraverso i social media, che al giorno d’oggi lascia spazio a tutti. Se si è intelligenti si impara a navigare. Lui sta navigando abbastanza bene. La sua campagna, credo, ha coinvolto in realtà molti giovani e sappiamo che l’affluenza dei giovani elettori è, in generale, un problema. Ho dei dubbi sulle sue capacità di essere un uomo politico reale e di rappresentare la Serbia sotto una luce migliore all’estero. Abbiamo bisogno di essere presi maggiormente sul serio, non meno”.

Ad ogni modo, Stevan Randjelovic si dichiara scioccato dalla “mancanza di dibattiti televisivi tra tutti i candidati. Questa è una pratica comune in tutta Europa e nel mondo. Eccetto che in Serbia. Ciò che manca in Serbia è un dibattito corretto su problemi differenti. I candidati discutono delle famiglie altrui e non su come risollevare l’economia che affonda e della forza lavoro”.

Se ci concentriamo sull’immagine della Serbia, i nostri interlocutori esprimono tanto punti in comune quanto differenze rispetto a quello di cui hanno fatto esperienza nei loro studi e nella loro vita all’estero. “L’immagine della Serbia è cambiata. La Serbia non è più considerata come una nemesi. Almeno non quanto accadeva sino anche a due anni fa. Ciò è in parte dovuto alla crisi dei migranti e al ruolo positivo che la Serbia gioca ancora in questo contesto. Il governo serbo ha bisogno di riconoscere questa tendenza e utilizzarla per promuovere la Serbia all’estero”, osserva Gavrilo Nikolic, mentre Ksenija Simovic approfondisce la sua analisi sulla mentalità serba: “Avendo vissuto in diversi paesi negli ultimi 10 anni, ho capito che la Serbia è davvero un paese pieno di contrasti. Ci sono così tante persone appassionate, che lavorano duramente, hanno una mentalità aperta e rappresentano un vero tesoro del nostro paese. Purtroppo, per ognuna di esse v’è almeno una che è l’opposto, alla ricerca di una soluzione semplice a tutto, convinta di qualche falsa grandezza circa se stessa, raramente supportata da qualcosa. Pertanto, vi è una sorta di status quo. La Serbia sembra un paese bloccato in uno “status quo di sopravvivenza”. Lo status quo e la paura che “le cose peggiorino”, in realtà, non permettono alle cose di migliorare”.

Tuttavia, dopo tanti anni all’estero, Stevan Randjelovic pensa che “la Serbia non è così male per vivere, come spesso tendiamo a pensare. Ma penso anche che la nostra politica sia carente di decenza”.

Infine, cosa potrebbe spingere queste menti brillanti a tornare in Serbia?

“Migliori opportunità, sia per la crescita professionale che per quella personale. Amo il mio paese, cerco sempre di essere la sua miglior ambasciatrice all’estero. Tuttavia, ho trovato difficoltà a fare ciò che amo ed ad essere adeguatamente riconosciuta per questo, e a raggiungere una sicurezza che mi permettesse di avere lo stile di vita che mi piace. Sono appassionata di agricoltura e mi piacerebbe tornare se riuscissi ad avviare la mia attività di produzione agricola in Serbia. Tuttavia, l’accesso alla terra e avviare un business che può generare entrate eque in questo settore non è così facile e manca ancora supporto”, risponde Ksenija.

“La politica e la non buona situazione economica non sono importanti fattori di spinta, come una volta. Il fattore di spinta più rilevante, a mio parere, è rappresentato dalla mancanza di attenzione per i giovani e da questo clima politico melodrammatico. I giovani vanno via perché non possono permettersi di sentirsi costantemente dire che non sono all’altezza e che “presto” arriverà il loro momento, sebbene potrebbero assumersi la responsabilità del futuro del paese subito”, sostiene Gavrilo.

Mentre Jana ritiene che “non v’è alcuna necessità di fattori di spinta. Tornerei volentieri a casa una volta terminata questa fase della mia vita a Bruxelles”, Stevan offre una sintesi conclusiva per tutti: “Un’opportunità significativa di lavoro, guadagnare per una vita decente e aiutare umilmente il mio paese”.

Biagio Carrano 

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