Nuovi modelli di sostenibilità: Europa e Serbia tra paure e speranze

di Ksenija Simovic, ricercatrice al Centar za Evropske Politike, www.cep.org.rs

Anche prima della crisi finanziaria appariva evidente che l’Europa aveva bisogno di una nuova strategia, orientata verso il futuro per poter riconquistare una posizione economicamente, socialmente e ambientalmente piu sostenibile. Come fare per sviluppare la strategia per un’Europa più dinamica, inclusiva e sostenibile è stato l’argomento principale discusso al Simposio economico al Forum Europeo di Alpbach, tenutosi in Austria una settimanaalpbach1 fa, cui hanno partecipato alcuni tra i più importanti studiosi e economisti di oggi, come ad esempio Jeffrey D. Sachs, Mark Pennington e alcuni dei leader politici europei, come Pascual Lamy, Laszlo Andor e Enrico Moavero Milanesi.

Dal momento che il tema generale del Forum è stato “L’Europa al bivio”, nei due giorni del Simposio economico i partecipanti hanno cercato di dare una risposta alla domanda “Quale deve essere il prossimo passo per l’Europa?”. Tutti hanno sostenuto l’idea che deve essere proposto un nuovo modello di sostenibilità, in grado di proteggere il nostro ambiente, assicurare maggiore occupazione e protezione sociale, dando vita ad una nuova industria europea, basata su qualità, competenze e innovazione.

ENERGIA

alpbachIl tema principale è stato certamente l’efficienza energetica e come introdurre un’economia basata su bassi consumi di carbone in Europa. Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute presso la Columbia University, ha detto in uno dei seminari che ormai potremmo “affrontare lo scoppio di una bolla ecologica” e che nessuno ha piu il lusso di ignorare il tema.

Con l’impegno dell’UE a ridurre le emissioni tra il 80 ed il 95% entro il 2050, raggiungere livelli più elevati di efficienza e di risparmio energetico è uno dei principali problemi che devono essere all’ordine del giorno della nuova Commissione. È stato concordato che le pratiche di risparmio energetico devono essere avanzate nel settore industriale e non solo, in quanto sono ampiamente riconosciute come un mezzo per risparmiare denaro. Allo stesso tempo, tali pratiche contribuiscono alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, alla riduzione delle emissioni di gas serra, alla realizzazione veloce ed economica di un approvvigionamento energetico sostenibile, e, ultimo ma non meno importante, a una significativa creazione di posti di lavoro. D’altra parte l’avanzamento delle pratiche di efficienza energetica è anche una fonte di grandi paure. Si registrano timori elevati e diffusi da parte dell’industria europea di perdere la propria competitività attraverso l’adozione di nuove tecnologie (ancora incerti) per l’efficienza energetica contro i loro concorrenti negli Stati Uniti e in Cina, che ancora continuano a basare massivamente le loro produzioni sul consumo di carbone.

Una proposta di obiettivi vincolanti a livello degli Stati membri è stata ampiamenta discussa, perché si è considerato che obiettivi vincolanti potessero garantire la responsabilità e l’impegno politico di produrre risultati, fornendo flessibilità di scegliere e applicare gli strumenti più adatti per raggiungere l’obiettivo. Si potrebbe fornire un quadro di riferimento per guidare un’attuazione delle politiche di efficienza energetica ambiziosa e coerente, come sul rendimento energetico nell’edilizia (EPBD), ma anche di rafforzare le politiche nazionali gia in atto che si sono rivelate buone e efficienti

Per ulteriori informazioni sulle sfide di efficienza energetica dell’UE è possibile seguire: #EnergyEfficiency #EUEnergyChallenge #EU4LifeQuality

 

NUOVA POLITICA INDUSTRIALE

C’è un sentimento crescente che l’UE dovrebbe essere la guida per promuovere un’economia più verde e per costruire una società basata sulla conoscenza. L’Industria e i leader politici dell’UE devono abbandonare le radici industriali tradizionali, diminuire l’inquinamento pericoloso e indirizzarsi verso il “greening” delle politiche industriali, sulla base di un sostanziale aumento di ricerca e sviluppo (R&S) in questa area. L’Europa deve innanzitutto chiudere le lacune in termini di investimenti in R&S con gli Stati Uniti e le altre economie ora sempre più guidate dal innovazione, come quelle dei BRICS. La crisi economica e finanziaria globale certamente ha approfondito la comprensione in Europa che una migliore base industriale è vitale per la futura crescita e la creazione dei posti di lavoro.

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I pilastri dell’economia della conoscenza

L’obiettivo del programma Europa 2020 di aumentare la quota per R&S del PIL dal 15% al 20% entro il 2020, sembra ormai molto difficile da raggiungere, soprattutto perché ci sono notevoli differenze tra gli Stati membri in termini di investimenti in R&S. Tuttavia, basta dare un’occhiata alla correlazione tra investimenti in R&S e livelli di competitività per vedere chiaro che i grandi paesi dell’UE, quelli che sono in grado di investire di piu in ricerca e innovazione, sono anche i più competitivi. Infine, il programma RISE (Rinascimento dell’Industria per un’Europa Sostenibile) deve conseguire una politica industriale incorporata in un mercato in cui il governo stabilisce il quadro normativo, ma non interviene direttamente per scegliere i cosidetti ‘vincitori’.

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I caratteri della transizione da una economia industriale a una basata sulla conoscenza

Al simposio economico sono stati presentati i principali risultati del progetto di ricerca WWWforEurope, mostrando come ci deve essere una transizione dal modello di competitività tradizionale, guidato da competitività di prezzo a uno nuovo che comprende anche la competitività di qualità, funzionalità e che ha una forte ambizione sociale ed ecologica.

La creazione del ‘Welfare’ bisogna andare oltre gli obiettivi del PIL e ha bisogno di essere sostenuta da una nuova politica industriale, che sarebbe in grado di:

• dare supporto alle forze di mercato

• promuovere la concorrenza

• avanzare nuove tecnologie

• includere interesse e benefici a lungo termine

• sostenere l’avanzamento del’educazione e innovazione

Questa versione più ‘illuminata’ di competitività di prezzo deve però includere la “strategia di competitività” con la nuova politica industriale.

Infine in vari seminari i pareri di molti esperti convergevano sulla concezione della nuova politica industriale dell’UE, basata su maggiori investimenti in nuove tecnologie e l’innovazione in termini di efficienza energetica, sarà il vero portatore di cambiamento in termini di crescita economica in Europa.

 

GREEN ECONOMY E OCCUPAZIONE

green_policy_EuropeRecentemente Green Jobs Initiative ha riferito che la trasformazione verso un’economia più verde potrebbe generare da 15 a 60 milioni di nuovi posti di lavoro a livello globale nel corso dei prossimi due decenni e sollevare decine di milioni di lavoratori dalla povertà. L’esito di tali pronostici è strettamente legato alla percentuale di investimenti che andranno in tecnologie volte a sostenere l’efficienza energetica nel settore industriale, così come tutti coloro che amano esplorare nuove fonti di energia sostenibile.

Per questo e stato ricordato al Simposio che è importante promuovere prassi innovative in termini di sostenibilita energetica nell’industria, come anche diffondere l’educazione su queste materie nelle scuole e Univerista Europee cosi da assicurarsi che la domanda cresciente di lavoro in questo settore trovi risposta.

 

OLTRE IL PIL E ALTRI INDICATORI

wellbeingUno degli argomenti più importanti è stato certamente quello sulla necessità di una nuova serie di indicatori che misurano il benessere e lo sviluppo dei nostri paesi. Fino ad ora, tutti i governi del mondo hanno la stessa ossessione prima delle elezioni: aumentare la loro valutazione del PIL. Perche su questa piccola cifra e possibile basare tagli al welfare, tassazione, investimenti in infrastrutture e altro ancora. Si tratta di una misura di beni e servizi, ma dopo anni in cui la crescita dei paesi è stata calcolata in questo modo, la domanda sorge spontanea: siamo sicuri che si tratta di una buona (e giusta) misura?

Per esempio: il PIL non prende in conto l’impatto ambientale della crescita industriale. Quindi la domanda potrebbe essere: sono persone che vivono in un ambiente inquinato comunque piu ricche? Per il professor Enrico Giovannini, ex ministro del Lavoro del governo italiano e relatore al panel “Un nuovo modello economico e di concorrenza per l’Europa”, la risposta è no. Egli è uno dei protagonisti del ‘Oltre il PIL’ agenda, che avanza un nuovo modo di calcolare la ricchezza dei paesi. Lui sostiene che “La globalizzazione ha cambiato le regole economiche. PIL non è una misura che rivela il grado effettivo della ricchezza di una popolazione. E indifferente a considerare la crescita sociale e ambientale, due fattori che sono cruciali “.

Allora perché non pensare a una nuova misura che va oltre il PIL? Per sostenere la sua teoria, professor Giovannini ha indicato 6 motivi per i quali lui pensa che il PIL non funziona più:

1. Non riusciremo a crescere per sempre

Dice Giovannini: “Il capitalismo è stato immaginato per una società che cresce per sempre e continuamente, ma questa non e la realtà. Non possiamo considerare come una cosa buona la crescita che produce disastri ambientali. L’equa distribuzione dei redditi è anche importante. Abbiamo bisogno di misure che meglio riflettono la ricchezza del popolo “.

2. Non ci comportiamo sempre razionalmente

“La Neuroscienza ci dice che le nostre azioni non sono sempre dominate dalla razionalità. E’ il concetto opposto del pensiero economico attuale. Quindi dobbiamo ripensare i nostri modelli e accelerare la transizione verso altri “.

3. E tempo per una rivoluzione culturale

“Il modello attuale è basato sulle teorie americane e anglosassoni. Abbiamo i politici e consulenti che pensano in questo modo. Ma per andare oltre il PIL dobbiamo iniziare con le università e insegnare nuovi modi per misurare la ricchezza “.

4. Non fare gli stessi errori

“Le nuove misure ci impediscono di ripetere gli stessi errori. Con il PIL abbiamo affrontato molte crisi economiche. Dimentichiamo la fragilità del modello di capitalismo”.

5. Dobbiamo contare gli effetti della globalizzazione

“Con la globalizzazione siamo in grado di fare soldi in un posto dove l’ambiente è povero e condividere le entrate con un altro. Questo non è giusto.”

6. Europa può guidare il cambiamento

“Gli europei possono portare avanti questi problemi e guidare il cambiamento. L’Europa potrebbe essere il centro di nuovo pensiero economico che va oltre il PIL.”

D’altra parte il professor Branko Milanović, uno specialista di sviluppo e la disuguaglianza, nonche esperto della Banca Mondiale, ha parlato nella sua sessione “Disuguaglianza prima e dopo la crisi finanziaria’ sui metodi e indicatori utilizzati per valutare la disuguaglianza del reddito globale tra individui. Mentre parlava di indicatori basati su ricerche sul reddito delle famiglie mononucleari, gli altri esperti presenti hanno ritenuto che un altro indicatore importante per la disuguaglianza è anche la distribuzione della ricchezza. Dal momento che è considerato che la disuguaglianza globale è stata una delle principali cause della crisi finanziaria, la sessione ha analizzato questo tema in relazione alla crisi e sviluppo macroeconomico, e ha discusso di come la politica economica dovrebbe reagire a questa sfida e quali sistemi di misurazione e gli indicatori sono necessari per sostenere cambiamenti politici. Disuguaglianza, è stata scelta come il tema del prossimo Forum Europeo di Alpbach 2015.reddito-mondiale

GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE E IL FUTURO

Il prossimo anno è considerato da molti esperti e partecipanti come cruciale per il progresso di nuovi modelli economici sostenibili. L’agenda post-2015 per lo sviluppo e gli Obiettivi Di Sviluppo Sostenibile (compresi il consumo e la produzione sostenibili) devono essere concepiti come grandi produttori di cambiamento, al fine di garantire una adesione globale per ai loro scopi. Per avanzare gli obiettivi di una piu elevata protezione ambientale e quelli di efficienza energetica applicabili a tutti i paesi del mondo, bisogna tenere conto conto delle loro diverse realtà nazionali, di loro capacità e livelli di sviluppo e del rispetto delle politiche e delle priorità nazionali.

E LA SERBIA?

Mentre sarebbe bello poter avanzare questo tipo di discorsi anche in Serbia, dobbiamo ammettere che la Serbia è ancora un paese di semplice sopravvivenza, dove le strategie a lungo termine significano poco. Un paese con alti tassi di indebitamento estero, che ancora sostiene imprese pubbliche in perdita che si stanno mangiando gradualmente il bilancio statale e che investe ben poco nel suo sistema educativo, per non parlare di ricerca e sviluppo. Se si aggiunge anche l’alta fuga di cervelli e di tutti coloro che cercano il lusso di pianificare a lungo termine le loro scelte di vita, le prospettive per uno sviluppo economico basato sulla valorizzazione del capitale umano sembrano impossibili. La Serbia sta definendo il suo futuro principalmente sugli investimenti diretti esteri e investe ben poco nel promuovere e coltivare le potenzialità del territorio e le competenze della propria popolazione. Tuttavia, dato che l’intero Simposio economico di Alpbach è stata una discussione su paure e speranze per il futuro dell’Europa, la situazione non è molto diversa neanche per la Serbia, la quale sta indirizzando le sue future speranze verso l’Europa, mentre si occupa delle sue paure per la sopravvivenza quotidiana.

ksenijaKsenija Simović (02/06/1988) e una ricercatrice nello Centro per le politiche europee di Belgrado. Attualmente si occupa dei progetti di sviluppo e ricerche che riguardano i temi economici e legali del processo di adesione della Serbia al UE. Ksenija ha completato la sua laurea in Cooperazione Internazionale per lo Sviluppo presso l'Università di Roma "La Sapienza", dopo la quale ha conseguito all'Università di Twente nei Paesi Bassi un Master di ricerca in Studi Europei. Durante i suoi studi di master ha sviluppato un profondo interesse per le politiche e legislazione dell'Unione europea, che e stato un ulteriore vantaggio per ottenere una borsa di studio del Ministero degli Affari Esteri italiano per un Diploma trilingue in Alti Studi Europei presso la Fondazione Collegio Europeo di Parma. Il suo piu grande interesse sono i temi di sviluppo delle politiche agricole e industriali, miglioramento delle capacita turistiche e della imprenditoria femminile in Serbia.

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