L’ex direttore della CIA per i Balcani, Steven Meyer dichiara: l’America accetterà il cambio di confine nei Balcani

I Balcani sono al crocevia e la sua direzione futura dipende principalmente dai leader dei singoli paesi della regione. Se agissero come veri leader e non come “sudditi” dell’Occidente, ci sarebbero dei progressi, specialmente dal momento che ci fu un cambiamento significativo nella politica degli Stati Uniti verso il Kosovo e l’intera regione.

Questo è ciò che dice Steven Mayer, ex vice capo della CIA per i Balcani e oggi decano della Scuola di sicurezza nazionale Daniel Morgan, in un’intervista esclusiva per il quotidiano Vecernje Novosti.

“Gli Stati Uniti sono rivolti al Medio Oriente e alla Russia, quindi i Balcani non si collocano così in alto nelle priorità degli USA come negli anni ’90. Inoltre, l’amministrazione di Trump apprezza profondamente il diritto all’autodeterminazione a livello locale. Sebbene, per la maggior parte, la politica ufficiale nei confronti dei Balcani sia solo un residuo inerte del passato, la nuova amministrazione ritiene che spetti a voi decidere. Questa è una vera opportunità per i vostri leader”, afferma Meyer.

Dite che i leader dovrebbero decidere da soli, ma molti funzionari del Dipartimento di Stato americano e dell’intelligence USA si occupano quotidianamente dei Balcani?

“La storia dei Balcani è così. Gli Stati Uniti e la Russia si sono concentrati su quest’area come se avessimo una nuova guerra fredda in divenire. Ci sono interessi russi a Nis e altrove, e gli Stati Uniti stanno facendo lo stesso in altri posti. La NATO si scontra con i russi e vuole che la Serbia aderisca all’Alleanza. Fortunatamente, il presidente Vucic ha detto: “No!” E questa è la decisione giusta da fare. Allo stesso tempo, la psicologia in queste aree è profondamente radicata nella convinzione che qualcun altro prende sempre le decisioni a tuo nome. L’idea che voi possiate prendere le vostre decisioni è raramente accettabile. Per 20 anni ho detto: “Dovete fare affidamento su voi stessi!” Continuate sempre a chiedermi: “Cosa vuole Washington?” E la mia risposta è sempre la stessa: “Che cosa volete voi?” Milorad Dodik è uno dei politici che capisce questo al meglio. È stato respinto, persino sanzionato da Washington, ma questo non lo ha influenzato molto. Penso che si possa imparare molto da Tito, che sapeva come bilanciare la paura, la politica e l’economia”.

Per oltre 20 anni, vi siete opposti alle opinioni ufficiali di Washington, sostenendo l’idea che gli attuali confini nei Balcani sono insostenibili.

“Il problema sta nel Dipartimento di Stato e nei diplomatici che lavorano in questa regione da decenni e che hanno stabilito una posizione ufficiale. Ma questo sta cambiando ora. Non credo che Washington si opporrebbe al cambiamento di frontiera se la leadership qui volesse farlo. La Germania si opporrà a questo perché teme l’instabilità. Gli inglesi sono ancora indecisi (50/50). L’UE accetterebbe la soluzione se venisse attuata pacificamente. La mia argomentazione è sempre stata che i confini non sono sacri. Thaci e Vucic parlano di demarcazione, che è, in effetti, un cambio di confine. E’ da 20 anni che continuo a dire che questo doveva accadere. Ho detto ai miei amici serbi che devono capire che la maggior parte del Kosovo non può essere restituita alla Serbia, perché ciò implicherebbe un’altra guerra. Ma per l’area a nord del fiume Ibar è tutta un’altra storia.

 Quali sono gli elementi di questo piano?

“Per quanto riguarda la parte meridionale del Kosovo, le comunità serbe hanno una scelta: possono restare o spostarsi. Se decidono di trasferirsi, hanno bisogno dell’aiuto del programma di rifugiati delle Nazioni Unite. Per coloro che vogliono rimanere, devono rientrare nella protezione delle Nazioni Unite e la situazione dovrebbe essere esaminata almeno due volte l’anno, quindi nessuna discriminazione avrà luogo. Lo stesso vale per la popolazione albanese a nord dell’Ibar. È inoltre necessario negoziare le aree a maggioranza albanese nella valle di Presevo. Inoltre, ci sarà un referendum nella Repubblica Srpska (RS) con tre opzioni disponibili – rimanere a far parte della Bosnia, diventare indipendente, o entrare a far parte della Serbia. Ciò renderebbe i paesi più omogenei”.

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Cosa succederà allora con le aspirazioni croate verso la Bosnia ed Erzegovina?

“La popolazione croata in Bosnia ed Erzegovina sta diminuendo, ma ci sono parti del paese in cui i croati dovrebbero avere un referendum per l’adesione alla Croazia. Questo lascia spazio per la creazione di un piccolo paese bosniaco. Non sarebbe più piccolo del Kosovo e penso che la popolazione musulmana dovrebbe essere protetta lì, proprio come i serbi nel sud del Kosovo, e gli albanesi a nord di Ibar”.

Ciò aprirebbe un problema anche con le aspirazioni degli albanesi.

“Sento spesso i serbi dire che non permetterebbero mail la formazione della Grande Albania (Velika Albanija). La mia risposta è: “Di cosa avete paura?” Siete un paese più forte e più ricco di loro. L’Accordo di Ohrid è più o meno accolto, ma dovrebbe anche esserci un referendum su quale tipo di sistema vogliono le persone. Se tutto sarà fatto pacificamente, nel corso degli anni, attraverso i negoziati e, soprattutto, se le grandi potenze resteranno ai margini, tutto ciò sarà del tutto fattibile. Potete dire a Washington: “Vogliamo un buon rapporto con gli Stati Uniti, ma questo è un problema locale (nostro)”.

Potete immaginare che Washington non voglia interferire con tali processi?

“Se Belgrado manterrà una posizione ferma anche nei confronti di Berlino e Mosca, allora perché no ?!”

Suona un po’ insolito considerando la complicata situazione in vista delle elezioni in Bosnia ed Erzegovina e il referendum in Macedonia?

“Posso sentire la tensione, ma quando tutto sarà finito, e passati sei mesi, vedremo come saranno i leader della regione. Il presidente Vucic sarà in grado di bilanciare tra l’Occidente e la Russia perché la Serbia ha interessi con entrambe le parti. Le cose dovrebbero essere fatte passo dopo passo.”

Ci sono funzionari di Washington che condividono le tue opinioni?

“Sì, ci sono. Gran parte del Congresso non è affatto interessato a questi temi, ma alcuni membri del Congresso lo sono. Gli esperti sono divisi, ma questo è un dibattito che dura da 20 anni. Quando John Bolton disse: “Lasciate che facciano quello che vogliono!” Alcuni degli esperti rimasero inorriditi, altri applaudirono. Personalmente, quando si tratta di questo, sono d’accordo con l’amministrazione di Trump. Questo dovrebbe essere fatto rapidamente perché il 2020 e le nuove elezioni presidenziali americane non sono così lontane”.

Quanta resistenza allo “stato profondo/segreto” c’è nell’amministrazione di Trump?

“The Deep State è uno slogan evocato dall’estrema destra negli Stati Uniti che si riferisce alla burocrazia che si oppone a Trump. L’opposizione a Trump esiste, ma se mi chiedi se l’intero “stato profondo” è unito nell’opposizione, direi che non è così. Non c’è opposizione unita a Washington. Le agenzie e i dipartimenti governativi degli Stati Uniti si combattono costantemente l’un l’altro. Ci sono stati almeno due casi nella mia carriera in cui Richard Holbrooke ha cercato di licenziarmi perché io e alcuni dei miei colleghi eravamo contrari a quello che stava facendo”.

A che cosa ti sei opposto esattamente?

“L’obiettivo degli Stati Uniti per la Bosnia ed Erzegovina era di avere uno stato democratico e multietnico. Durante e dopo Dayton, Holbrooke fu scioccato quando gli raccontammo che Dayton faceva esattamente l’opposto di ciò che rappresentava, cioè aumentava solo le differenze etniche. E’ dal 1995 che continuo a dire che la Bosnia non è un paese, ma uno stato fittizio, perché il vero potere è nelle mani delle comunità etniche, non del governo di Sarajevo”.

È possibile che paesi così piccoli abbiano, allo stesso tempo, buone relazioni con gli Stati Uniti, la Russia e la Cina senza soffrirne?

“Io penso di sì. Ma hanno bisogno di avere nelle loro agenzie e ministeri persone che capiscono fino a che punto possono spingersi, perché è vero che le grandi potenze possono punirle, perché gli Stati Uniti e i russi si sono scontrati e hanno combattuto nei Balcani. I serbi comprano le armi dai russi, i croati dagli americani e questo può essere pericoloso. È importante che i leader concordino una soluzione pacifica delle controversie, nonostante ci sarà sempre qualcuno che voterà contro”.

Pensi che Trump sarà revocato dal mandato?

“Non penso, né dovrebbe esserlo. Non ha fatto nulla che richiede la revoca”.

La First Lady, che proviene da questa regione, ha un’influenza su Trump?

“Potrebbe avere, ma è difficile dire perché non commenta molto gli affari pubblici”.

 

ADESIONE O COLLEGAMENTI SPECIALI CON L’UE

Qual è la sua opinione sui diversi scenari riguardanti la riforma dell’UE e dove vede la Serbia in tutto ciò?

“Sembra che i problemi nell’UE non siano ufficialmente riconosciuti, quindi l’obiettivo della Serbia di diventare membro entro il 2025 sembra troppo ambizioso. Non penso che succederà. Se l’UE non si caprà che l’Unione è grande e disfunzionale, non è chiaro se sopravviverà nella sua forma attuale. Ci sono problemi sia finanziari che problemi riguardanti i rifugiati. Stiamo assistendo all’ascesa di governi nazionalisti in Svezia, nei Paesi Bassi, in Germania, in Italia … Mi chiedo se per la Serbia non sia meglio al posto di diventare membro, continuare solo ad avere legami commerciali speciali con l’UE. La domanda chiave è: “Quali benefici avrà la Serbia dall’appartenenza all’UE?” Non penso che la questione sia stata pienamente studiata”.

Photo Credits:” Z. Knezevic”

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