La salute e l’economia dell’Italia hanno sofferto durante la prima ondata della pandemia, e oggi il Paese è ulteriormente scosso dall’irrigidimento delle misure. Questo è un messaggio diretto per la Serbia, dove lavorano circa 1.600 aziende italiane; l’Italia è infatti il secondo partner commerciale estero subito dopo la Germania.
Le aziende italiane in Serbia impiegano più di 50.000 lavoratori, di cui 39.000 sono impiegati direttamente e 12.000 sono impiegati come dipendenti “spin-off e staff leasing”. Ci sono anche importanti investimenti per un valore di circa 154 milioni di euro.
Scopri quali sono stati i principali investimenti esteri in Serbia nel 2019: clicca qui!
Secondo i dati di Confindustria, in Serbia ci sono grandi imprese italiane e tante piccole e medie imprese. Lavorano in numerosi settori: agricoltura, automobilistico, produzione tessile e abbigliamento, informatica. Sono inoltre presenti nella produzione di prodotti industriali, servizi nel campo della consulenza e della ristorazione, nonché nel settore bancario e assicurativo.
Gli economisti concordano sul fatto che la Serbia sentirà sicuramente le conseguenze negative delle economie europee. Lo sottolineano praticamente dall’inizio della pandemia, affermando che la Serbia “non è un’isola felice” e che dipende in gran parte dai partner esterni, in primis Italia e Germania.
Il professore della Facoltà di Economia dell’Università di Belgrado, Ljubodrag Savić, aveva detto già a marzo che, tra le altre cose, l’industria automobilistica avrebbe potuto subire delle conseguenze, dato che è il più grande investimento dall’Italia, in termini di mantenimento della produzione.
“Molti componenti per le auto provengono dalle fabbriche Fiat in Italia, e abbiamo anche molte fabbriche italiane che producono alcune parti, sedili o cavi per auto. L’interruzione di quella catena di fornitura influenzerà sicuramente il funzionamento delle fabbriche. Il problema principale è la fornitura”, aveva detto Savic.
L’esperienza mostrava che la crisi porta spesso a una riduzione dei dipendenti nelle filiali al di fuori dei Paesi di origine. Ad esempio, durante la grande crisi del 2008, il Presidente francese aveva detto: “Ridurremo la forza lavoro a causa della minore domanda”, e questo si riferiva ai posti di lavoro in Romania e Bulgaria.
Fino a poco fa, le autorità italiane hanno cercato di non “bloccare” completamente il loro Paese, ma la cosa sta diventando sempre più difficile da attuare. Vale a dire, il governo sta “camminando su un filo sottile” mentre la crisi si sta aggravando.
Gli slogan sulla resilienza dell’economia, promossi durante la prima ondata della pandemia, hanno ceduto il passo a una sensazione di stanchezza, trasformatasi in rabbia a fine ottobre, quando il governo ha annunciato una nuova chiusura.
Le proteste, guidate in ottobre e novembre da piccoli imprenditori e ristoratori, nonché da liberi professionisti e lavoratori stagionali nei settori dell’ospitalità e del turismo, finora non si sono trasformate in un movimento di massa, in parte perché il governo ha rapidamente annunciato nuovi salvagenti economici. Tuttavia, l’insoddisfazione è palpabile e il governo deve affrontare la sfida di trovare un equilibrio tra la protezione della salute dei cittadini e l’economia del Paese.
La Banca centrale italiana stima che il debito del Paese, che è già il secondo più grande dell’Unione Europea, dopo quello greco, raggiungerà il 158% del PIL con l’aggravarsi della crisi. Sebbene il debito italiano sia in aumento i tassi di interesse sono mantenuti bassi.
Recentemente il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha fatto appello di non andare a sciare durante le vacanze di Natale e di contribuire alla lotta contro la diffusione del coronavirus, che finora ha ucciso più di 50000 persone, innescando una grande polemica, considerando che le stazioni sciistiche italiane generano un fatturato di circa 11 miliardi di dollari ogni anno e un terzo di tale importo viene generato durante le vacanze di Natale e Capodanno.
This post is also available in: English