Nuovo scenario imprenditoriale per la Serbia. La sospensione delle sovvenzioni dirette al Paese sta infatti spingendo la Serbia a trovare altre soluzioni per attrarre gli investimenti stranieri. Soluzioni che però, per essere attuate e portate a regime, rendono essenziali riforme statali quali un sistema più agile, una riduzione dei costi dello Stato e maggiore certezza nello sviluppo degli affari.
Dal 2001 la Serbia ha ottenuto un flusso di capitale annuale netto abbastanza alto dagli investimenti esteri diretti (IED), tenendo presente che gli stranieri investivano soprattutto nell’acquisto di società pubbliche e nel settore dei servizi, mentre nella maggior parte dell’Europa centrale ed occidentale si investiva prevalentemente nella costruzione di nuove fabbriche. Addirittura il 71% della crescita del PIL in questi Paesi è il risultato degli afflussi degli investimenti esteri diretti. Proprio quando il deficit serbo e il debito verso i creditori esteri cominciavano a crescere rapidamente, gli IED erogati tra il 2012 e il 2013 hanno segnalato un calo.
Per i prossimi due anni dunque, si prevede un rallentamento del processo di recupero economico del Paese. Per realizzare la crescita media del PIL del 1,6 % nei prossimi tre anni, sarà necessario un afflusso netto degli investimenti esteri diretti di 1,6 miliardi di euro. La domanda che pesa su questi numeri, recentemente rilanciata dal quotidiano Politika, è come attrarre gli stranieri a investire tanti soldi in Serbia.
Quello che è certo è che il nuovo Ministero dell’economia, secondo quanto risulta dal bilancio proposto per il 2014, ha sospeso le sovvenzioni. Marijana Gligoric, assistente della facoltà di economia a Belgrado e collaboratrice del Fondo per lo sviluppo della scienza economica, ritiene che per attrarre gli investitori esteri la Serbia debba migliorare il contesto d’affari e rimuovere una serie di ostacoli burocratici. La Gligoric afferma che i fattori che scoraggiano gli investitori sono l’instabilità economica, cioè il debito pubblico, il deficit, ma anche il rischio politico e le condizioni d’affari. Poi ci sono i fattori istituzionali, come il quadro giuridico inefficiente, gli ostacoli burocratici e un sistema di infrastrutture ancora carente.