L’economia serba è al collasso totale, cosa che è stata finalmente riconosciuta dai vertici del Governo i quali, per riempire le casse statali, hanno annunciato tagli dolorosi e misure per la ripresa.
L’esplosione dello Stato ha avuto riflessi sulla valuta nazionale che, nonostante la vendita delle riserve di valuta estera, ogni giorno perde valore nei confronti dell’euro, mentre nessuno vuole più acquistare i titoli di Stato.
Mentre i cittadini tremano per la continua mancanza di soldi, gli esperti avvertono che la Serbia si sta inesorabilmente dirigendo verso uno “scenario greco” di bancarotta e che c’è sempre meno tempo per la ripresa. I capi della coalizione di Governo sono d’accordo sulla necessità di fare alla svelta, ma già alla prima decisione si sono scontrati sulla proposta di congelare stipendi e pensioni.
Sono state annunciate serie misure per questa che è stata definita “la malattia più grave”, ma nell’incontro di inizio settimana si è solo deciso di continuare il dialogo dopo qualche giorno. Il nervosismo nelle file politiche è sempre più evidente e le sortite pubbliche sono diventate la norma. Le mosse del ministro dell’Economia e delle finanze Mladjan Dinkic contro il sindaco di Belgrado Dragan Djilas hanno trasformato uno scontro sotterraneo in una vera guerra.
Il ministro, oltre ai fondi per Belgrado, ha bloccato i finanziamenti per altre 50 municipalità, tra le quali quelle di Novi Sad e Nis. L’associazione dei Comuni lo accusa di togliere continuamente introiti alle comunità locali.
Il capo dell’associazione, Sasa Paunovic, ha ricordato che solo 6 mesi fa Dinkic ha tagliato le risorse per le municipalità, favorendo l’economia nera.
Che la situazione sia più che allarmante è mostrato dai nuovi dati sul debito, che presentano una Serbia “con l’acqua alla gola”, poiché il nuovo Governo ha aumentato un debito già enorme di altri 3,9 miliardi di euro in soli sei mesi.
Le promesse della campagna elettorale sono evaporate e il concalamato taglio di 107 agenzie statali è per ora fermo a sette, i cui lavoratori sono stati trasferiti al Governo, in cui sono già impiegati più di 28000 dipendenti, ben 9000 in più rispetto a quelli dell’amministrazione titina. Sulla carta è rimasta anche la promessa che il numero di 250 tra ministri, segretari e sottosegretari venga dimezzato e che in quattro anni si risparmino due miliardi di dinari. Delle 400 ditte i cui contributi coprono il 40% del bilancio, solo tre non sono indebitate. Lo Stato è ancora il più grande datore di lavoro con un esercito di mezzo milione di lavoratori, mentre il finanziamento del Paese è sulle spalle degli imprenditori privati, che sono sempre meno. I pensionati sono 1,7 milioni, così come i lavoratori, mentre ben 800.000 persone cercano lavoro.
La Serbia è sì in una situazione difficile ma, come valuta l’analista economica Ruza Cirkovic, è decisamente irresponsabile che i politici al potere ci girino intorno e che dichiarino pubblicamente che lo Stato sta andando in bancarotta, rovinandone la reputazione e il rating economico.
(Vesti-online.com, 09.06.2013)