Dinamiche insolite hanno segnato negli ultimi mesi la regione dei Balcani occidentali.
Hanno preso il via, a quanto pare, presso l’arena politica estera: dalla visita del neo-eletto Presidente Alexander Vucic a Washington e ai suoi incontri con il vice-presidente Michael Pence, al terzo round del processo di Berlino a Trieste, al vertice regionale a Dubrovnik, passando per la Carta adriatica adottata a Podgorica in presenza del citato alto ufficiale americano Michael Pence. Tutto starebbe ad indicare che la comunità occidentale, dopo quasi due anni di “stallo”, vuole riattivare la propria presenza e ruolo nella regione in cui altre potenze, Russia e Turchia in primo luogo, sono state attive nel frattempo.
Le suddette dinamiche, tuttavia, mettono a nudo tutte le caratteristiche degli stati e società regionali, le loro transizioni incompiute, le relazioni bilaterali irrisolte risalenti al recente passato, la mancanza di tradizioni democratiche, le fragili potenzialità in relazione a riforme e modernizzazione, le tendenze autoritarie dei loro leader, le loro radicate ambizioni e aspirazioni per i territori degli “altri”. Le loro mosse contraddittorie e controverse hanno seguito tutte le iniziative di politica estera intese a rilassare le relazioni regionali e ad aiutare i paesi a muoversi verso il dichiarato corso Euro- Atlantico.
Questo riguarda soprattutto la Serbia: mentre apre spiragli per un “dialogo interno” sul Kosovo, secondo la maggior parte degli osservatori, per accelerare il processo di normalizzazione con Pristina, Belgrado intensifica una campagna contro l’adesione del Kosovo all’Interpol e all’UNESCO.
Una delle ragioni alla base della tensione con Skopje è rappresentata dalla disponibilità della Macedonia (almeno secondo i media) a schierarsi a favore dell’ammissione del Kosovo all’UNESCO. Tuttavia, i funzionari serbi, e soprattutto i media a loro più vicini, non si sono ancora rassegnati al cambiamento del regime in Macedonia. Mentre il neo-eletto Primo Ministro socialdemocratico Zoran Zaev sta cercando di consolidare la situazione nel suo paese, a seguito di una lunga crisi politica, Belgrado lo accusa di aver ordito una cospirazione presumibilmente destinata a screditare la Serbia come buona vicina di casa.
La scena politica e sociale di fine luglio in Serbia è stata agitata dall’invito del Presidente Vucic per l’apertura di un “dialogo interno sul Kosovo“. La forma del dialogo non è stata specificata (con i partiti di opposizione e il Parlamento, attraverso dibattiti pubblici, ecc), così come il suo scopo, la durata, o se implichi o meno una revisione costituzionale (il preambolo della Costituzione decreta il Kosovo come parte della Serbia). Alcuni sostengono che la più grande carenza dell’iniziativa sia rappresentata dal fatto che il Presidente stesso non articola la sua posizione mentre acquista tempo fino a quando altri non lo facciano. Non è stato quindi chiaro se il Presidente Vucic intendesse sciogliere il nodo del Kosovo accettando le realtà in questa forma o nell’altra (riconoscendo l’indipendenza del Kosovo senza un riconoscimento formale), o se, piuttosto, si trattasse di un tentativo di posizionare ancora una volta l’argomento della divisione del Kosovo sul piano negoziale.
Non deve neanche essere escluso che si tratti di un piano per mantenere lo status quo, nel momento in cui il “dialogo interiore” mostri che i cittadini della Serbia non intendono rinunciare al loro “territorio sacro”. Infine non è da escludere che il Presidente abbia valutato i tempi maturi per legare apertamente la questione del Kosovo con quella della Repubblica serba di Bosnia. Se le sue intenzioni sono davvero quelle di dare una forma alla relazione tra Serbia e Albania in un modo non caratteristico per la Serbia negli ultimi 100 anni, questo sarebbe un passo avanti nel gettare acqua sulle tensioni etniche nella regione. Inoltre, secondo lui, tale rapporto potrebbe stabilire un nuovo equilibrio nella regione: non lungo la linea Est-Ovest (Serbi-Croati), ma lungo il percorso nord-sud, tra le due più grandi nazioni nei Balcani, serbi e albanesi.
Vucic ha lanciato un’iniziativa per il “dialogo interno sul Kosovo” il 24 luglio, tramite un articolo pubblicato dal quotidiano “Blic”. Sebbene il lungo articolo manchi di risposte e soluzioni concrete, l’invito a un dialogo è stato per lo più inteso come “preparazione del terreno” per il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.
Questo si riferisce in particolare a partiti e movimenti di destra. Ma se Vučić, con il suo invito, intedeva solo testare l’opposizione dimostrando la sua impreparazione ad affrontare “il più delicato problema serbo”, aveva perfettamente ragione. L’altro lato dello spettro politico della Serbia lo ha criticato per la sua tendenza ai monologhi invece che ai dialoghi, per l’intolleranza alle opinioni degli altri e per il soffocamento ogni dibattito pubblico: critiche fondate, ma che in realtà rappresentano una pessima scusa per non aver espresso alcuna idea circa le prospettive per la soluzione del problema del Kosovo. Un alibi sconnesso è rappresentato anche dall’argomentazione secondo cui il Kosovo non è l’unico problema che il paese deve affrontare (in quanto è stato comunque internazionalizzato e la sua risoluzione dipende poco dalla Serbia) e che ci sono molti problemi probabilmente più importanti da risolvere quali economia, disoccupazione, povertà della maggior parte della società, ecc.
Va tuttavia rilevato che il regime e soprattutto i mezzi di comunicazione vicini al Presidente si comportano in modo opposto di fronte al desiderio dichiarato di “dialogo su un argomento specifico”.
Ad esempio, quando il Presidente del Partito socialdemocratico, Boris Tadic, ha dichiarato che il Kosovo dovrebbe ottenere un seggio in seno alle Nazioni Unite, i tabloid vicini a Vučić lo hanno prontamente accusato di alto tradimento. La stessa sorte è toccata al leader del Movimento dei cittadini liberi, Sasa Jankovic, secono cui l’adesione del Kosovo all’Interpol rappresenterebbe un beneficio anche per la Serbia. E ancora, può giustificare tutto questo la moderazione dell’opposizione? LPD è praticamente solo quando si tratta di assumere posizioni difficili, come evidente anche in questo caso. Il partito ha già preparato una piattaforma per il prossimo dialogo. Connettendo il riconoscimento dello status del Kosovo (che non può derivare da “un semplice compromesso”), con l’adesione della Serbia (e del Kosovo) all’UE e alla NATO, la piattaforma aspira alla “correzione graduale delle relazioni bilaterali e alla creazione di nuove circostanze”.
Il leader del movimento per il rinnovamento serbo, Vuk Draskovic è ancora più altisonante. Ricordando le mosse sbagliate dei regimi precedenti, egli sostiene che “la sovranità della Serbia sul Kosovo esiste solo nel preambolo costituzionale”.
Se però l’iniziativa di Vucic ha provocato un terremoto politico in Serbia, non ha quasi toccato il Kosovo. D’altra parte, il Primo Ministro albanese Edi Rama ha risposto prontamente, definendola una “notizia straordinaria”.
Alcuni intellettuali, come Azem Vllasi, ex politico e ora avvocato, e Agon Bajrami, direttore del quotidiano “Koha Ditore”, hanno anche commentato l’iniziativa. Secondo Vllasi, Vučić ha fatto il primo passo verso la rinuncia della delusione per il fatto che Kosovo non sia parte della Serbia. Riferendosi alla convinzione per cui i negoziati futuri dovrebbero soddisfare gli interessi tanto dei serbi quanto degli albanesi, Agon Bajrami sostiene che è troppo tardi per un accordo che soddisfi tale condizione, e che la Serbia dovrebbe riconciliarsi con l’aver perso il Kosovo. Tuttavia, questo non significa che “i serbi del Kosovo hanno perso, dato che il Kosovo di oggi è anche il loro stato indipendente”.
Il giornalista Dejan Anstasijević osserva che Veton Surroi ha analizzato l’iniziativa di Vučić dal punto di vista Kosovo nel modo migliore. Presentando una genesi delle relazioni serbo-albanesi, Suroi ricorda che per la terza volta negli ultimi vent’anni qualcuno da Belgrado ha tentato di normalizzare il rapporto tra Serbia e Albania. Secondo lui, l’invito di Vucic a un dialogo dovrebbe trovare un’eco all’interno dell’elite politica del Kosovo, ma sulla base della propria piattaforma di negoziato. Questa piattaforma, sostiene, dovrebbe strutturare tre problemi che il Kosovo ha con la Serbia: il passato (le conseguenze dell’occupazione e della guerra), il tempo presente (il costante indebolimento del funzionamento del Kosovo come Stato e il suo riconoscimento internazionale) e il futuro (l’integrazione euro-atlantica). Senza questi tre elementi, sostiene Suroi, il Kosovo e la Serbia sarebbero condannati a “altri cinque anni di discussioni improduttive sulle targhe automobilistiche e altre cose”.
Solo un paio di giorni dopo l’articolo-invito di Vučić ad un dialogo, il Primo Vice-Primo Ministro e Ministro degli Esteri Ivica Dacic (leader del Partito socialista serbo) è intervenuto con un articolo sullo stesso quotidiano.
A suo avviso, l’unica soluzione duratura e sostenibile dei problemi starebbe nel tracciare un confine finale tra i serbi e gli albanesi. Il leader dei radicali Vojislav Seselj è contro il piano di divisione: “Noi, i serbi, non possiamo dividere qualcosa che ci appartiene”. Il Direttore del Forum per le Relazioni etiche, Dusan Janjic, ha definito le idee di Dacic pericolose e irresponsabili in quanto “minano seriamente la politica del Presidente”. Non un solo uomo politico del Kosovo acconsentirebbe ai colloqui sulla partizione, dato che, come il Ministro degli Esteri del Kosovo, Enver Hodjai, ha sottolineato, “i confini del Kosovo sono riconosciuti a livello internazionale” e le idee provenienti da Belgrado sono “pericolose e inaccettabili”. Alcuni politici serbi del Kosovo condividono questo punto di vista.
Considerando che la partizione del Kosovo è in realtà una missione impossibile, rilanciare l’idea è probabilmente solo un modo per gettare fumo negli occhi. La posizione globale sul Kosovo dell’élite politica e intellettuale della Serbia, ma anche del grande pubblico, è che non sarebbe giusto se gli albanesi ottenessero tutto e i serbi niente.
Se non può avere i quattro comuni della parte settentrionale (con una popolazione a maggioranza serba), la Serbia potrebbe probabilmente essere compensata con la Repubblica serba di Bosnia, la più piccola entità bosniaca.
Il Presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, parla spesso della sua indipendenza. Belgrado è cauta nell’affrontare apertamente la questione. Ufficialmente, sostiene la Bosnia-Erzegovina e la sua integrità in base agli Accordi di Dayton.
Una dichiarazione congiunta sul tema “La sopravvivenza della nazione serba“, annunciata in occasione dell’anniversario dell’operazione “Storm”, il 5 agosto, a Novi Sad si inserisce in questo contesto. Come il Presidente Dodik ha spiegato al quotidiano “Vecernje Novosti” il giorno dopo, lui e Vučić stanno scrivendo insieme un piano per la protezione di tutti i serbi. “Il loro obiettivo è quello di redigere un documento che potrebbe “dare forma ai tempi a venire, e costituire eredità delle generazioni serbe a venire, ovunque si trovino, come bussola per l’azione nazionale e politica”. Essendo stata associata ad alcuni documenti precedenti, come il Memorandum dell’Accademia serba delle Arti e delle Scienze, la dichiarazione, non ancora scritta, ha disturbato la regione. Anche se il Segretario generale del Presidente ed ex ministro della giustizia, Nikola Selakovic, sostiene che non è motivata dal nazionalismo della “Grande Serbia”, come alcuni hanno suggerito, ma dalla necessità di “salvaguardare la lingua e la cultura” dei serbi fuori dalla Serbia, il resto della regione rimane sospettoso a causa delle parole di Dodik.
Non c’è dubbio che il problema è che il documento dovrebbe essere adottato da due parlamenti, da quello serbo e da quello di una sola delle entità della Bosnia. E il problema è anche che connette lo status del Kosovo con lo status di tale entità: il coinvolgimento di quest’ultima nel dialogo sul Kosovo “spacchetta” l’intera regione, ha dichiarato il Presidente della Comunità democratica bosniaca e deputato serbo Muammar Zukorlic.
La Serbia è ancora focalizzata sulla graduale e ancora incerta diminuzione delle tensioni politiche in Macedonia, dopo l’elezione del socialdemocratico Zoran Zaev come Premier. A quanto pare, Belgrado non si è ancora riconciliata con il cambiamento di regime a Skopje. I tabloid, ma anche altri mezzi di comunicazione, appaiono ancora a favore dell’ex primo ministro Gruevski (del partito VMRO-DPMNE) e della sua attività all’opposizione.
La pressione su Skopje (se non fa parte di un progetto congiunto con Mosca) è tesa ad impedire alla Macedonia di votare a favore dell’ammissione del Kosovo all’UNESCO e all’Interpol. Il ritiro di tutti i diplomatici dell’Ambasciata serba a Skopje indica che Belgrado deve preparare una nuova strategia per la Macedonia, specialmente dal momento che il piano di Zaev di “ripulire” tutto ciò che riguarda il cambiamento di regime potrebbe essere difficilmente musica alle orecchie della Serbia.
(Helsinki Bulletin, No. 136, August 2017)
http://www.helsinki.org.rs/doc/HB-No136.pdf
http://www.blic.rs/vesti/politika/vucic-kosovo-i-metohija-je-pitanje-koje-stopira-sve-nas/7vr6r1w
http://www.b92.net/eng/news/politics.php?yyyy=2017&mm=07&dd=24&nav_id=101886
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