Nel corso del 2014 i lavoratori serbi hanno lavorato in media per 42,7 settimane mentre la media in Unione europea è di 39,5.
Vi è un dispaccio dell’ambasciata americana a Belgrado del gennaio 2006 svelato da Wikileaks in cui si “rivela” che per i serbi il lavoro è solo un male necessario e lo fanno solo per sopravvivere. La vecchia generazione ancora crede che lo Stato debba sostenere i lavoratori e i genitori dicono ai figli di non accettare lavori “non dignitosi”. Nonostante questo, notavano i diplomatici americani, i bar di Belgrado sono pieni di persone ufficialmente disoccupate, vestite all’ultima moda che sorseggiano il loro cappuccino e fumano la loro sigaretta mentre telefonano da costosi telefonini. Lo stesso e di più durante la vita notturna. L’origine dei soldi che consentono questo tenore di vita? L’aiuto dei genitori, le rimesse dei parenti all’estero e i lavori in nero.
Nel riquadro la graduatoria nel 2014 dei paesi in Europa dove in media si lavora più settimane: Serbia 42,7; Romania 41; Lussemburgo e Gran Bretagna 40,9; Portogallo 40,4; Germania 40,3; Polonia 40,2. Nei 13 paesi che sono entrati in Unione europea dopo il 2004 la media è di 40,1 settimane rispetto alla media Ue di 39,5 settimane. In Ungheria si lavora in media per 39,1 settimane, a Malta per 39,2 settimane, in Slovacchia 39,3 settimane.
“La presunta pigrizia dei serbi è ben lontana dalla verità ed è un pregiudizio cui hanno ceduto anche i diplomatici americani. Da noi la lotta per un posto di lavoro è più dura che nei paesi occidentali”, ha dichiarato Goran Nikolic, economista dell’Istituto per gli Studi Europei. “Queste storie sono senza fondamento e servono solo a giustificare i bassi salari e il basso tenore di vita. Non è sorprendente scoprire che la settimana lavorativa in Serbia è tra le più lunghe d’Europa. Per essere più produttivi abbiamo bisogno di migliori tecnologie, di un mercato più sviluppato, di una posizione migliore sui mercati esteri, più o meno come quella che hanno le imprese delle nazioni più sviluppate. Abbiamo sempre avuto voglia di lavorare, anche nei momenti peggiori questo non ci è mai mancato”, continua l’economista.
Il sindacalista Dusko Vukovic dell’Unione dei Sindacati Indipendenti concorda: “Si tratta solo di un modo per pagare il meno possibile, giusto per sopravvivere. La Serbia non deve abbandonare l’industria e le tecnologie più avanzate per non lasciare un futuro pessimo ai nostri figli. A inizio anni Novanta la Serbia registrava un milione di occupati nell’industria mentre ora sono appena 300.000. I potenti del mondo garantiscono con ogni mezzo un buon lavoro solo ai loro figli e nipoti”.
In effetti, Goran Nikolic evidenzia come la produttività del lavoro in Serbia è solo il 42% di quella media nell’Unione. I motivi: cattiva organizzazione del lavoro, ritardo tecnologico, mancanza di competenze adeguate. “La pigrizia dei lavoratori serbi è un’idea elaborata ai piani alti del potere politico e finanziario globale che ha un diretto interesse a smantellare l’indipendenza degli Stati periferici e a spingere i popoli verso un colonialismo finanziario”, afferma Nikolic.
“Siamo tra i meno pagati nella regione. Peggio di noi stanno solo i lavoratori di Albania e Macedonia. Il salario netto mensile nel 2014 è stato di 45,601 dinari mentre il paniere dei consumi medi mensili costa 66,807 dinari e quello minimo è pari a 33,641 dinari. Quindi a luglio per raggiungere un paniere medio di spesa ci volevano 1,46 salari. A peggiorare le cose ci sono in Serbia 650.000 lavoratori che ricevono il salario in maniera discontinua e 50.000 di essi che lo ricevono con molto ritardo. Solo 170.000 lavoratori del settore privato ricevono in tempo i salari. Sulla base della ricerca, il costo del lavoro medio orario nel settore privato in Serbia nel 2014 è stato pari a 2,33 euro, di cui il netto per il lavoratore è stato pari a 1,77 euro. Il costo del lavoro in Serbia incide per il 33% dei costi aziandali, molto meno degli altri paesi europei, dove raggiunge anche il 64% come nei Paesi Bassi.