Negli ultimi anni la Serbia, soprattutto la capitale Belgrado, è cambiata profondamente: imponenti investimenti nelle costruzioni e il correlato boom del mercato immobiliare, la crescita di nuove imprese basate su tecnologie digitali e innovative, non ultimo, l’arrivo di oltre 100.000 cittadini russi a seguito dell’aggressione contro l’Ucraina, sono tra i fenomeni che hanno trasformato non solo interi scorci urbani, ma anche il quadro socio-culturale, innalzando il livello della complessità con la quale devono confrontarsi tanto i politici serbi, quanto le rappresentanze diplomatiche, occidentali e non. Ma seguire questi cambiamenti, comprenderne gli impatti e agire di conseguenza non è solo un compito dei diplomatici, ma di tutti gli italiani che operano nel paese, pena l’irrilevanza. Di questa e altre tematiche abbiamo ragionato con l’ambasciatore d’Italia a Belgrado Luca Gori, che dal suo arrivo nel giugno scorso ha caratterizzato la sua missione per la molteplicità dei piani di dialogo e coinvolgimento degli interlocutori politici e sociali del paese.

Ambasciatore Gori, lei segue e studia i Balcani occidentali e la loro prospettiva europea da un ventennio: quali sono le costanti e gli elementi nuovi nella regione e in Serbia, in particolare?

La principale costante che continuo a riscontrare nei Balcani occidentali è la difficoltà a elaborare il passato. A trovare una lettura delle vicende storiche, anche recenti, che permetta di costruire un percorso solido di riconciliazione, sbloccando definitivamente la cooperazione regionale. Gli elementi nuovi invece sono molti, a cominciare da una rilevante crescita economica, in particolare in Serbia. Quello che mi preoccupa di più è però il fatalismo che oggi rischia di dominare il rapporto tra UE e Balcani. Alla sua radice vi è la saldatura – nel modo in cui Europa e Balcani si guardano – di due visioni statiche. Di due dispositivi narrativi che hanno congelato le reciproche aspettative. Da un lato, persiste in alcuni angoli d’Europa una specie di “Neo-Balcanismo”, secondo una versione 2.0 del concetto di Maria Todorova, per cui si professa scetticismo verso una rapida emancipazione dei Balcani. Dall’altro, si sta consolidando nella regione una narrazione antagonista, un contro-stereotipo al “Balcanismo”. Si sta diffondendo cioè una sorta di “Bruxellismo”, da intendere come atto di realismo critico verso modi (non sempre comprensibili da parte dell’opinione pubblica) e tempi (oggettivamente lunghi) del processo di allargamento. L’Italia respinge nettamente questo fatalismo e punta a riattivare la forza trasformativa e attrattiva del processo di integrazione UE.
La recente visita congiunta dei ministri italiani dell’Interno Tajani e della Difesa Crosetto è stata presentata come l’esordio di un nuovo attivismo di Roma nei Balcani. Come si manifesterà questa rinnovata attenzione all’area?
Si manifesterà con l’attivazione di un processo politico: visite, incontri, eventi, diplomazia telefonica, Business Forum, mobilitazione del Sistema Italia, come accaduto alla Conferenza Nazionale “L’Italia e i Balcani Occidentali: crescita e integrazione” tenutasi a Trieste lo scorso 24 gennaio e voluta dal Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani. L’Italia deve avere il proprio processo sui Balcani. L’interesse e la presenza dell’Italia in questa regione sono elementi costanti della nostra politica estera. L’Italia contribuisce a sviluppare l’economia e a preservare la stabilita’ della regione fornendo truppe alle missioni KFOR ed EULEX in Kosovo ed ALTHEA in Bosnia-Erzegovina. La visita congiunta dei Ministri Tajani e Crosetto e’ stato un segnale importante del rilievo attribuito a quest’area dal nuovo Governo. Il punto di partenza del nuovo processo.

Il 2022 è stato un anno eccellente per l’export agroalimentare italiano, che ha toccato il valore record di 60 miliardi di euro. Da parte sua la Serbiaè sempre più sensibile alla qualità del cibo italiano. Quale è la situazione in Serbia e come crescere ancora, in quantità e qualità?
Il trend di crescita dell’export agroalimentare italiano si conferma anche in Serbia. Basti pensare che nel 2021 le esportazioni italiane nel settore enogastronomico sono aumentate del 36% rispetto all’anno precedente. L’Italia continua ad essere il primo fornitore della Serbia di olio d’oliva, paste alimentari e riso e primo partner UE per il vino. In Serbia si percepisce un grande apprezzamento per i prodotti alimentari “Made in Italy”, ma vogliamo compiere un salto di qualità in due direzioni: la prima è la formazione e la diffusione della conoscenza delle nostre vere eccellenze, la seconda è il contrasto al fenomeno dell’ “Italian sounding” e a sistemi di etichettature che consideriamo lesivi per i nostri prodotti. Vogliamo poi lavorare anche sulla quantità, migliorando e facilitando le pratiche doganali per l’importazione e puntando alla grande distribuzione e all’e-commerce. La grande ‘’vetrina’’ è la Settimana della Cucina italiana nel mondo, che si tiene ogni anno a novembre, ma anche l’appuntamento di maggio 2023 alla Fiera Internazionale dell’Agricoltura di Novi Sad, dove l’Italia è stata scelta come Paese partner, sarà una grande occasione per promuovere il nostro settore agri-tech.
Fatto sta che la presenza delle imprese italiane in Serbia, un decennio fa rilevantissima, si è andata negli anni diluendo, sia per un rallentamento dei flussi, sia per l’ingresso di investitori e imprese straniere che spesso hanno visto per tempo la crescita del paese in certi settori. A suo avviso dove è possibile recuperare e in quali settori l’Italia può dare un contributo significativo?
Partiamo dai numeri. Le aziende con un quota di capitale italiano in Serbia, secondo i più recenti dati della Agenzia per il Registro delle Imprese serba, ammontano a oltre 1.200. Sono aziende molto variegate, che spaziano dai grandi gruppi alle micro-imprese, attive nei settori più diversi (dall’automotive al bancario, dal tessile all’assicurativo, fino alla digitalizzazione e alle rinnovabili) e in tutto il territorio serbo. Questo tessuto imprenditoriale impiega circa 50.000 persone e genera oltre il 5% del PIL serbo. L’Italia rimane il terzo partner commerciale della Serbia, con un interscambio che a novembre 2022 ha superato i 4,2 miliardi di euro, e tra i principali investitori esteri nel Paese. Al contempo, concordo sul fatto che sia necessario aprire una nuova stagione nei rapporti economici tra Italia e Serbia, che guardi a nuovi settori in cui vantiamo competenze ed eccellenze, a partire dall’agri-tech, la digitalizzazione, la transizione verde ed energetica, l’intelligenza artificiale. Per questo organizzeremo a Belgrado il 21 marzo 2023 un Business Forum dedicato proprio a questi temi, sancendo anche simbolicamente l’avvio di questa nuova fase.
Il Business Forum tra Italia e Serbia in programma per il 21 marzo 2023 sarà l’occasione per fare il punto sui rapporti economici e diplomatici tra i due paesi, rafforzarli, per tanti versi rielaborarli e rinnovarli. Ci può dare qualche anticipazione su questo importante evento?
Stiamo lavorando con tutte le parti coinvolte, a partire dalle Autorità serbe, per un Business Forum di alto livello, che coniughi un segmento istituzionale e tavoli settoriali dedicati a tre priorità: (1) transizione verde ed energetica; (2) agricoltura e agri-tech; (3) infrastrutture. Vi saranno poi molti incontri B2B, tra imprese italiane e serbe. E’ un grande lavoro di squadra, cui sta contribuendo tutto il Sistema Italia in Serbia. Vorrei ringraziare in particolare il Direttore dell’ICE, Antonio Ventresca, il Presidente di Confindustria Serbia, Patrizio Dei Tos e quello della Camera di Commercio italo-serba, Annino De Venezia.
“è necessario aprire una nuova stagione nei rapporti economici tra Italia e Serbia, che guardi a nuovi settori in cui vantiamo competenze ed eccellenze, a partire dall’agri-tech, la digitalizzazione, la transizione verde ed energetica, l’intelligenza artificiale”
A partire dallo scoppio della guerra in Ucraina, è passata nell’opinione pubblica l’equiparazione tra Donbass e Kosovo, spesso promossa da analisti e studiosi molto visibili sui media. Questo ha portato a seguire in Italia le tensioni in Nord Kosovo con un di più di ansia, nel timore dell’apertura di un “secondo fronte” del conflitto tra Occidente e Russia. Come valuta questa equiparazione? Il Kosovo, più che un secondo Donbass, non potrebbe diventare un secondo Alto Adige?
Fare parallelismi tra realtà storiche e geopolitiche diverse è sempre un azzardo. Le recenti tensioni fra Belgrado e Pristina hanno in parte contribuito a generare, sia sulla stampa che nell’opinione pubblica, il timore che si aprisse un nuovo fronte in Europa. Da parte mia vedo però la Serbia pienamente consapevole dell’importanza di preservare la pace, premessa indispensabile per il suo sviluppo economico. Vi è inoltre l’impegno della UE con il Dialogo Facilitato sostenuto dagli Stati Uniti, che sta cercando di favorire un processo di normalizzazione tra Belgrado e Pristina. L’Italia continua a dare il massimo sostegno all’esercizio ed agli sforzi del RSUE Lajcak, come dimostrato dalla partecipazione del Consigliere Diplomatico del nostro Presidente del Consiglio, Amb. Francesco Talò, alla recente missione congiunta del 20 gennaio scorso con Lajcak, e i rappresentanti di Stati Uniti, Francia e Germania. Una proposta di compromesso è sul tavolo. Siamo quindi ad uno snodo delicato in cui tutti gli attori devono fare la loro parte e agire responsabilmente. Uno dei punti chiave per la normalizzazione tra Belgrado e Pristina resta la necessità di dare attuazione a tutti gli impegni già presi, inclusa l’attuazione dell’Associazione delle Municipalità serbe.
vi è la possibilità di accelerare l’ingresso di Belgrado nel mercato unico. In tal modo, la Serbia, i suoi cittadini e imprenditori, accarezzerebbero l’idea di ottenere in tempi ragionevoli piena liberta’ di movimento di persone, beni, servizi e capitali, al pari degli Stati membri della UE.
Nel suo testo “L’interesse nazionale: la bussola dell’Italia” lei evidenzia la sfida dell’autostima che ogni paese deve vincere per poter proporsi nell’area internazionale: come intende contribuire a rafforzare l’autostima italiana nel corso del suo mandato in Serbia e come vi possono contribuire i vari attori che compongono la comunità italiana in Serbia?
L’autostima si rafforza attraverso l’esercizio dell’iniziativa politica. Avanzando progetti, idee e proposte. Da questo punto di vista è fondamentale che tutto il Sistema Italia in Serbia lavori per una visione comune. Mi piacerebbe, prima della pausa estiva, trovare un weekend per organizzare un raduno informale di tutta la comunita’ d’affari (e non solo) italiana in Serbia. Una giornata in cui ci si possa confrontare in modo diretto per elaborare insieme proposte e condividere idee su come rafforzare il ruolo dell’Italia in Serbia.

Quanto il soft power italiano può trasformarsi in potere tout court, capace di incidere realmente negli orientamenti della leadership serba e nel destino dei Balcani occidentali per rafforzare la stabilità regionale e accreditare l’Italia come attore di media potenza nel quadrante?
In Serbia e nei Balcani esiste un interesse straordinario per la cultura italiana. Con il nostro Istituto Italiano di Cultura cerchiamo di fare leva su questa domanda e di darle risposte di qualità, in tutti i campi. Per i prossimi mesi abbiamo molti progetti, anzitutto per la promozione della lingua italiana. Personalmente credo però che la forza della cultura possa tradursi in maggiore influenza politica solo se collocata in un dispositivo di “power conversion” più ampio, che includa anche altre dimensioni: istituzionale, demografica, economica, militare, scientifica. Il nostro obiettivo primario in questa regione resta comunque soprattutto quello di costruire cooperazioni e partenariati solidi, trasparenti e mutualmente vantaggiosi.
I rapporti tra Serbia e Unione Europea sono da anni impantanati in una grande, reciproca ambiguità. In estrema sintesi: la Serbia pretende dall’Ue una data certa entro cui allinearsi all’acquis communitarie per farne parte, l’Ue risponde che senza questi allineamenti non si potrà mai arrivare a definire una data certa. Sullo sfondo, le forti resistenze di alcuni paesi europei all’ingresso della Serbia, come anche l’insoddisfazione delle cancellerie europee e d’oltreatlantico per il rifiuto di introdurre sanzioni alla Russia. In questo quadro, l’Italia si dichiara a favore di un’accelerazione del processo di adesione alla Ue della Serbia. È oggi una prospettiva realistica? E in quali modalità?
Mi sono già soffermato sul fatalismo che sembra oggi dominare il rapporto tra UE e Balcani. L’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord e la concessione dello status di candidato alla Bosnia Erzegovina sono sviluppi importanti ma non bastano. La Serbia sta negoziando con la UE da 9 anni. Il punto è quindi capire in che modo ridare momentum al processo di allargamento. In che modo restituire alla prospettiva europea il potere trasformativo che aveva. Certo, ognuno deve fare la sua parte. I Paesi della regione devono intensificare gli sforzi riformatori. Ma la UE deve dare maggiore concretezza al percorso di adesione, anche per ragioni geopolitiche, visto che l’allargamento è lo strumento più importante a sua disposizione per ridurre l’influenza di altri attori nella regione. Le idee non mancano. Tra queste, ad esempio, la possibilità di accelerare l’ingresso di Belgrado nel mercato unico. In tal modo, la Serbia, i suoi cittadini e imprenditori, accarezzerebbero l’idea di ottenere in tempi ragionevoli piena liberta’ di movimento di persone, beni, servizi e capitali, al pari degli Stati membri della UE.
La Serbia è da decenni un luogo di transito di imponenti flussi migratori verso la Ue. Eppure la crescita economica del paese assieme al suo declino demografico la stanno trasformando anche in una meta finale di molti migranti, che vi trovano un lavoro e la possibilità di vivere comunque in Europa. La stabilità e la crescita della Serbia può essere nell’interesse dell’Unione anche in questo senso?
I flussi migratori rappresentano per la Serbia come per l’Europa una sfida complessa. Dalle prime crisi migratorie del 2013 la Serbia si è a lungo caratterizzata come Paese di transito ma da allora l’impegno di Belgrado nel contrasto ai flussi irregolari è cresciuto molto, come dimostrano anche le recenti misure con cui il Governo ha modificato il regime di esenzione dal visto in passato concesso ad alcun Paesi. Si tratta di misure importanti verso l’allineamento alle norme vigenti nella UE. Ciò detto, la Serbia soffre oggi di una consistente emigrazione che sta drenando una parte importante del suo capitale umano. Da questo punto di vista, è chiaro che i flussi migratori regolari, per la Serbia come per tutta l’Europa, possono rivelarsi anche un’opportunità.
La Serbia è tra i paesi con il miglior rapporto al mondo tra numero di abitanti e successi sportivi. Quali sono gli ambiti e l’impatto della diplomazia sportiva?

Sin dall’avvio del mio mandato ho voluto investire nella diplomazia sportiva. Lo sport rappresenta non solo un legame molto solido tra le società civili dei due Paesi (basti pensare a quanti atleti serbi militano o hanno militato nei campionati italiani di calcio o pallanuoto, o agli allenatori italiani della nazionale femminile serba di pallavolo). Lo sport presenta anche interessanti potenzialità commerciali. Ne ho di recente discusso con il Ministro dello Sport serbo Gajic. Per i prossimi mesi abbiamo in programma numerose iniziative, facendo leva anche sull’ottima accoglienza ricevuta dagli eventi già organizzati su Paolo Rossi e sulla scherma.
Cosa, a suo avviso, si aspettano i serbi dall’Italia, a livello politico quanto a livello di operatori economici, socio-culturali e di persone comuni?
Chiedono comprensione, attenzione e rispetto. Chiedono una partnership paritaria in tutti i settori. E si aspettano un impegno dell’Italia costante, coerente e di alto livello verso la Serbia.
Quali autori serbi inviterebbe gli italiani a leggere per capire il paese e, viceversa, quali testi italiani dovrebbero conoscere meglio i serbi?
Per capire la Serbia, il suo spirito e la sua identità, credo sia fondamentale studiarne la storia. In particolare le figure di Stefan Nemanja e San Sava, con la loro aspirazione per uno Stato e una Chiesa liberi e indipendenti.

La letteratura presenta poi molti capolavori. Tra i tanti suggerirei sicuramente di leggere le opere Milos Crnjanski, che soggiorno’ anche in Italia restandone affascinato. Ma anche lib ri piú recenti. Mi fa piacere citare quelli di Dunja Badnjevic: “L’isola nuda” e “Come le rane nell’acqua bollente”. Per provare a capire gli italiani inviterei a riscoprire un testo fondamentale come “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani”, di Giacomo Leopardi. E poi gli scritti e i discorsi di Enrico Mattei.
Luca Gori entra in diplomazia a 27 anni dopo aver conseguito con lode la laurea in scienze politiche all’Università di Firenze.
Dopo il primo incarico all’estero a Mosca tra il 1999 e il 2003, passa a Bruxelles, dove e segue i rapporti tra UE e Balcani occidentali, per poi prestare servizio a Washington tra il 2010 e il 2014 in qualità di Primo Consigliere. Nel 2015 è insignito del titolo di Cavaliere Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica.
Nel 2018 assume l’incarico di Vice Direttore Generale per gli Affari Politici e di Sicurezza / Direttore Centrale per i Paesi del Mediterraneo e Medio Oriente.
Autore di vari saggi, il suo ultimo testo è “La Russia eterna. Origini e costruzione dell’ideologia post-sovietica” (LUISS University Press, 2021), in cui analizza i fondamenti del tradizionalismo euroasiatico che oggi informa una parte significativa dell’ideologia della Russia putiniana. Oltre alla scrittura, Gori coltiva la lettura, l’arte, il cinema, i viaggi e lo sport, in particolare calcio, basket e tennis.
Sposato con Eugenia. ha due figli: Beatrice e Alessandro.
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