Tra gli otto Paesi dell’Europa centrale e dei Balcani occidentali, la Serbia è il più suscettibile all’influenza russa, ma anche a quella cinese, mostra uno studio del think tank internazionale “GLOBSEC”, con sede a Bratislava.
Nel nuovo “Indice di vulnerabilità”, “GLOBSEC” classifica Bulgaria, Montenegro, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Macedonia del Nord, Slovacchia e Serbia come vulnerabili all’influenza di Russia e Cina sulla base dell’analisi di cinque fattori chiave su una scala da 0 a 100, riporta il portale “Euractive Serbia”.
La Repubblica Ceca e la Romania hanno mostrato la minor sensibilità all’influenza straniera, con 29 punti, seguite dalla Slovacchia con 32 punti, dalla Macedonia del Nord con 40, dalla Bulgaria con 42 e dall’Ungheria e Montenegro con 44 punti ciascuno; il risultato arriva da una ricerca di due anni condotta con il supporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.
Secondo gli autori dello studio, l’opinione pubblica si è rivelata uno dei fattori chiave nella maggior parte dei Paesi della regione, seguita da panslavismo, vicinanza linguistica, intreccio di storia e legami culturali che influenzano notevolmente la vulnerabilità di Serbia, Bulgaria, Montenegro e Slovacchia.
La vulnerabilità in quattro degli otto Paesi è influenzata anche dalla Chiesa ortodossa, che si dice agisca spesso come promotrice di opinioni filo-russe. L’analisi afferma che la scena politica in Serbia è caratterizzata dal governo lungo del Partito progressivo serbo, di destra e populista, e dall’assenza di opposizione parlamentare, “che mette in pericolo il nucleo stesso della democrazia nel Paese”.
“L’adesione all’UE rimane l’obiettivo ufficiale del governo, ma la retorica del partito “SNS” manca di entusiasmo, non fa uso di narrazioni pro-europee e non promuove i valori dell’UE”, stimano gli autori.
Si afferma inoltre che “i partiti al governo in Serbia, con il sostegno dell’opinione pubblica, hanno adottato posizioni filo-russe”, che “con rare eccezioni, si applicano anche all’intera politica serba. Argomenti come le campagne di disinformazione del Cremlino o la sua politica estera aggressiva sono generalmente evitati”, afferma lo studio che stima come “le tendenze antidemocratiche del governo si riflettano anche nell’opinione pubblica”.
“A causa delle circostanze geopolitiche e storiche, l’opinione pubblica serba è molto ricettiva alle narrazioni filo-russe. Ciò si riflette in un atteggiamento estremamente positivo nei confronti di Russia e Cina, con grandi riserve sulla comunità euro-atlantica e un’ampia propensione per le teorie del complotto. Da una prospettiva serba, la Russia gioca sempre il ruolo di un grande fratello slavo che ha sempre protetto i serbi”.
Pertanto, come si afferma, il 59% dei cittadini serbi considera la Russia il partner strategico più importante e solo il 52% è favorevole all’adesione all’UE. Allo stesso tempo, il ricordo dei bombardamenti della NATO risuona ancora fortemente in Serbia, quindi l’84% della popolazione si oppone all’adesione all’Alleanza occidentale.
L’analisi della pubblica amministrazione serba si afferma essere il frutto di uno “Stato prigioniero, con meccanismi di controllo quasi inesistenti e società pubbliche create per servire chi è al potere”. Lo studio stima che il settore pubblico sia permeato da clientelismo, nepotismo e corruzione endemica, che il sistema elettorale sia vulnerabile a influenze sia esterne che interne e che in tali circostanze “la resistenza alle minacce ibride di influenze straniere maligne è minima”.
La sfera dell’informazione, come si afferma, è caratterizzata da gravi carenze, tra cui il controllo statale dello spazio mediatico e la concentrazione della proprietà dei media nelle mani di attori filo-governativi.