La Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite (International Court of Justice, ICJ) ha respinto giovedì il ricorso presentato dalla Bosnia relativo ad una sentenza che ha assolto la Serbia dall’accusa di genocidio durante la guerra civile degli anni 1990.
La Corte internazionale di giustizia, con sede a L’Aia, ha dichiarato di non poter intervenire in merito alla richiesta di ricorso per la sentenza su eventuali responsabilità serbe di genocidio, perché “nessuna decisione è stata presa dalle autorità competenti, da parte della Bosnia-Erzegovina come Stato”.
Il ricorso è stato depositato il 23 febbraio su iniziativa di Bakir Izetbegovic, membro musulmano della presidenza tripartita della Bosnia, nonostante l’opposizione espressa dalle etnie serbe e croate del paese.
Secondo l’Accordo di pace di Dayton, che pose fine al conflitto del 1992-1995 nel paese, le decisioni fondamentali non possono essere prese senza il consenso dei rappresentanti dei tre principali gruppi etnici.
Mladen Ivanic, membro serbo della presidenza, ha sostenuto che la richiesta di appello avrebbe dovuto essere decisa dalla presidenza nel suo complesso, e ha accolto con favore la decisione della corte interpretandola come segno che “nessuno può apportare ulteriori decisioni per conto della Bosnia ad eccezione delle sue istituzioni”.
Tuttavia Izetbegovic, nel corso di una conferenza stampa separata, ha definito la decisione della corte “politicamente motivata”, affermando che il consenso della presidenza sulla presentazione del ricorso non era necessario, in quanto la richiesta è stata depositata da un avvocato nominato dalla presidenza stessa nel 2002.
Molti funzionari in Bosnia avevano espresso la preoccupazione che la mossa potesse innescare una nuova crisi politica nel paese balcanico, già profondamente diviso.
Nel caso originariamente presentato nel 1993 dall’allora governo bosniaco a maggioranza musulmana, Sarajevo aveva accusato Belgrado di aver orchestrato un genocidio attraverso una diffusa “pulizia etnica” durante la guerra, causando la perdita di più di 100.000 vite.
Nel 2007, la Corte Internazionale di Giustizia riconobbe come genocidio solo il massacro di circa 8.000 uomini e ragazzi musulmani da parte delle forze serbo-bosniache a Srebrenica, sostenendo l’assenza di prove che dimostrassero la diretta responsabilità di Belgrado.
La Corte internazionale di giustizia ha però dichiarato che la Serbia, avendo prestato sostegno politico e militare ai serbi di Bosnia, aveva infranto il diritto internazionale per non aver impedito il massacro.
Izetbegovic sostiene che la Bosnia ha “nuovi argomenti” nel suo caso, in particolare quelli presentati durante il processo a Ratko Mladic, capo dell’esercito serbo-bosniaco durante la guerra, in attesa della sentenza del Tribunale delle Nazioni Unite.
Il termine di 10 anni per richiedere un appello della sentenza, da parte della Bosnia, è scaduto il 26 febbraio.
(Digital Journal, 09.03.2017)
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