Jugoslavia: pubblicati i rapporti della CIA

Documenti della CIA, recentemente resi disponibili, dimostrerebbero che l’agenzia di spionaggio americana aveva le mani impegnate nel seguire la turbolente esistenza della Jugoslavia ed il suo eventuale, sanguinoso, collasso.

La CIA aveva il suo occhio puntato sulla Jugoslavia comunista dal 1940, seguendone da vicino gli sviluppi fino ai suoi ultimi giorni nel 1991.

Dopo che una ONG americana, MuckRock, ha vinto una causa contro la CIA, l’agenzia ha dovuto rendere i suoi documenti accessibili. La scorsa settimana, l’archivio è stato quindi aperto al pubblico.

I documenti mostrano il grande interesse con cui la CIA osservava la situazione in Jugoslavia, in particolare nel corso dei turbolenti anni ’80, con l’ascesa del nazionalismo ed il peggioramento della crisi economica.

Con la morte del presidente a vita Josip Broz Tito nel 1980, un file denominato “Jugoslavia: the strains begin to tell” (1982), afferma che il suo “sistema politico potrebbe rivelarsi incapace di far fronte alle difficoltà finanziarie internazionali del Paese, ai problemi economici locali e alle crescenti tensioni etniche. Durante la vita di Tito, la Jugoslavia era in grado di funzionare con successo, nonostante le debolezze del sistema, perché Tito possedeva il prestigio per intervenire nei momenti critici e per imporre misure correttive”.

Il documenta illustra come il sistema federale jugoslavo incluso nella nuova costituzione del 1974 – l’introduzione di una Presidenza federale con un anno di presidenza a rotazione – fosse il tentativo di Tito per impedire a qualsiasi gruppo “etnonazionale” di dominare la Jugoslavia.

Un anno dopo, nel 1983, un file “Tendenze del nazionalismo etnico in Yugoslavia” riferisce delle crescenti tendenze nazionaliste nel paese, sebbene ancora non valutando come “imminente” la diffusione della violenza etnica.

“Rivalità etniche vengono aggravate da polemiche sulla stampa del paese, dalla crescente tendenza dei leader religiosi a collegare le questioni di fede con interessi etnici, e dall’attrazione i giovani insoddisfatti della Jugoslavia sentono nei confronti del nazionalismo etnico”, sottolinea la relazione.

Tuttavia, l’analisi datata gennaio 1991 – alla vigilia dei conflitti armati in Slovenia e Croazia – è intitolata più pessimisticamente “Jugoslavia: nessuna via di uscita”. Secondo l’analisi, “la Jugoslavia appare ancora in via di smembramento, sia in un bagno di sangue o, molto meno probabile, attraverso accordi reciproci tra le repubbliche”.

I rapporti della Jugoslavia, sia con gli Stati Uniti che con l’Unione Sovietica, costituivano inoltre fonte di preoccupazione per la CIA. Il rapporto del 1986 mostra come i funzionari jugoslavi avessero programmato il bombardamento statunitense della Libia. Secondo tale rapporto “la Presidenza di Stato collettiva, in una sessione straordinaria il 15 aprile, condannò più duramente l’attacco armato degli Stati Uniti, in quanto flagrante violazione della sovranità libica e chiedendo l’immediata fine delle operazioni militari aggressive degli Stati Uniti”.

Un anno dopo, con lo scivolare della Jugoslavia nella crisi economica e politica, la CIA osservava con preoccupazione il rinnovarsi dei colloqui con l’URSS sotto il nuovo leader sovietico Mikhail Gorbachev, volti a riavvicinare i due paesi.

“L’obiettivo principale di Belgrado nel migliorare il suo rapporto è quello di guadagnare economicamente, evitando tutte le connessioni politiche. Quasi certamente rimarrà profondamente diffidente nei confronti dell’URSS e considererà il Patto di Varsavia come l’unica minaccia credibile alla sua sicurezza”. Il documento spiega inoltre come gli Stati Uniti potessero meglio tenere la Jugoslavia distante dall’URSS, per “assicurando continuo supporto politico, militare ed economico a Belgrado”.

I documenti contengono numerose segnalazioni su scontri tra la Jugoslavia ed il terrorismo in termini di “estremisti” nazionalisti nel paese e all’estero.

Un certo numero di rapporti della CIA riferisce di un accordo con i resti del movimento Ustascia croato nel 1946, quando l’agenzia stima che ancora 10.000 combattenti fascisti si trovavano in Jugoslavia.

Un rapporto del 1972 sul “Problema separatisto croata”, riporta l’attacco di 19 croati alla città bosniaca occidentale di Bugojno, quando gli estremisti dell’Organizzazione rivoluzionaria croata, HRB, attaccarono la polizia jugoslava. Vennero tutti uccisi o arrestati. Lo stesso rapporto incolpa gli Ustascia dell’assassinio dell’ambasciatore jugoslavo Vladimir Rolovic a Stoccolma nel 1971. L’assassino croato, Miro Baresic, morto nella guerra di Croazia per l’indipendenza nel 1991, è stato onorato con un monumento in Croazia nel mese di agosto.

Un rapporto datato 1972 è incentrato sulla “primavera croata”, un movimento emerso all’interno della Lega dei comunisti della Croazia, allora al potere, che richiedeva riforme politiche ed economiche nel 1971. “Una buona parte di responsabilità per la crisi ricade sulla forte ala liberale del Partito comunista croato. Questa ala sta cercando da alcuni anni di sfruttare il sentimento nazionalista, al fine di consolidare il suo potere locale e di vincere concessioni da parte delle autorità centrali di Belgrado”.

I rapporti segnalano inoltre l’arrivo di profughi greci in fuga dalla guerra civile in Grecia nel 1950, le attività del Free Macedonia Committee che miravano ad attrarre parti della Jugoslavia, Bulgaria e Grecia in uno stato macedone più grande e l’esistenza di campi di lavoro in prossimità di Belgrado.

(Balkan Insight, 24.01.2017)

http://www.balkaninsight.com/en/article/cia-records-reveal-problems-yugoslavia-faced-01-23-2017#sthash.P2so7ES7.dpuf

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