Censura e autocensura in Serbia: una riflessione di Ljiljana Smajlovic

Mentre le istituzioni europee esprimevano la propria preoccupazione per lo stato della libertà di espressione in Serbia, il Premier Vucic respingeva ogni accusa e prometteva di riformare il sistema dell’informazione e di privatizzare i media pubblici (come il quotidiano Politika e l’agenzia Tanjug) nel giro di undici mesi. Sabato il Parlamento ha approvato la proposta di legge presentata dal Governo e il dibattito sulla libertà di espressione si è acceso: sulla questione è recentemente intervenuta sulle colonne di Politika anche Ljiljana Smajlovic, presidente dell’Associazione giornalisti serbi (UNS) ed editorialista del quotidiano, esprimendo il proprio originale punto di vista sullo stato di maturità della società serba.

Dove andremmo a finire se il Governo si battesse per le libertà in cui credeva mentre era all’opposizione? O se l’opposizione avesse combattuto per la libertà di stampa quando era ancora al potere?

“Se la stampa fosse libera, stamperebbe ciò in cui credo io. Se stampa qualcos’altro, significa che non è libera. Se il redattore avesse coraggio, pubblicherebbe il mio pensiero”. Questo pensa la maggior parte delle persone in Serbia, e ciò non potrà essere cambiato dalle leggi sui media che il Parlamento ha ieri [sabato 2 agosto, NdT] votato, nonostante tutti i complimenti di Bruxelles. Il ritornello più frequente che giunge ogni giorno alla posta del redattore capo di Politika è il seguente: “Se avete coraggio, pubblicate ciò che penso. Se non lo farete, saprò che siete mascalzoni della peggior specie”.

Sono pochissimi coloro che accettano il fatto che un articolo può non essere buono e che il coraggio non ha niente a che fare con esso. Ancora meno quelli che ritengono le opinioni diverse dalle proprie una forma di libertà d’espressione. E non solo i lettori sono così. Ecco, una mia amica – altrimenti un’ottima giornalista – da un anno è arrabbiata con me perché non dico apertamente ad Aleksandar Vucic ciò che lei pensa privatamente di lui. Non esprime l’opinione negativa sul Premier attraverso il mezzo di informazione per cui lavora, ma non esita a manifestare ciò che pensa agli Ambasciatori stranieri. Ora vedo che alcuni parlamentari hanno voluto vietare per legge il suo atto di autocensura. Davvero, per legge?

Qui si ritiene naturale che le persone pensino che solo le proprie idee siano obiettive. Chi davvero crede ancora nel pluralismo? Qui o hai ragione o non la hai. Coloro che non hanno ragione devono farsi da parte, mentre noi che ce l’abbiamo dobbiamo prendere il loro posto. Molte lettere dei lettori chiedono che io zittisca qualcuno. “Come ha ottenuto il posto?” chiedono; la maggior parte non vede alcuna connessione tra di sé, la situazione nella società e le condizioni dei media. La stampa è – nel migliore dei casi – il guardiano delle istituzioni, mentre nel peggiore è il mezzo con cui una minoranza sfrutta la disorganizzazione della società a fini personali.

Ci arrabbiamo con i mezzi di informazione perché non ci hanno salvato dal potere dei corrotti e di quelli che hanno fatto solo i propri interessi. Ma la stampa non può fare le veci delle istituzioni. Se queste ultime non funzionano, il giornalista senza scrupoli mesta nel torbido, mentre il coscienzioso si trova nei problemi. Non lo dico io, lo ha già fatto da tempo Walter Lippmann. Ma gli stessi cittadini che partecipano con entusiasmo alla sempre più forte polarizzazione politica, credono che “l’altra parte” sia responsabile del fatto che la Serbia è un Paese sempre più diviso.

Non riesco comunque a immaginare che tornino i tempi in cui un Presidente ha convinto tutti i redattori di tutti mezzi nazionali di informazione (eccetto, forse, Pecat) che le proprie dimissioni da Capo dello Stato venissero definite “riduzione del mandato”. Una tale uniformità dei media non è semplicemente più concepibile, e questo è un bene.

Perché i lettori si rifiutano di vedere il fatto che lo stato del giornalismo ha legami con lo stato della società? I redattori di Politika sarebbero ricchi se ricevessero un euro ogni volta che gli si dice che nella società andrebbe tutto meglio se solo loro non pubblicassero ciò che pubblicano. Prima delle elezioni ci hanno detto che i sondaggisti mentivano e che non era possibile che la maggioranza desse un tale consenso a Vucic, mentre ora dicono: se voi aveste scritto cose diverse, nessuno avrebbe votato per Aleksandar Vucic. Davvero? Qui si ripete sempre il mantra secondo cui è facile fare il lavaggio del cervello alle persone, che i serbi non avrebbero alcuna simpatia per i serbi della Bosnia e della Croazia se solo non ci fossero state le malignità guerrafondaie di Milosevic.

Un collega di Vreme ha detto continuamente ad alcuni giornalisti americani (e loro lo hanno pubblicato) che in America scoppierebbe la guerra civile se le televisioni mostrassero in continuazione David Duke, noto ideologo del Ku Klux Klan.

Ma anche senza Duke gli americani hanno creduto alla propaganda che diceva che in Iraq vi era un tiranno con un arsenale di armi nucleari capace di distruggere mezzo mondo. Non sono dunque serviti né la libertà di parola, né media indipendenti e di proprietà privata, né una Costituzione risalente a oltre duecento anni fa, né il Primo Emendamento. E anche quando una menzogna è scoperta, vi è ancora un’alta percentuale di americani che testardamente crede nelle armi di distruzione di massa di Saddam, mentre l’opinione pubblica occidentale ritiene che i russi non appoggerebbero Putin sull’Ucraina se non avessero subito il lavaggio del cervello da parte dei media di Stato.

Da noi l’insofferenza verso i politici è tanto cresciuta che pochi tengono fermi i principi. A Feketic, appena dopo le inondazioni, molti hanno protestato chiedendo perché Vucic si impegnasse a salvare i bambini ma “vieta di prendere posto nei gommoni” ed esprimevano allo stesso tempo rabbia perchè Tomislav Nikolic non aveva offerto posti sul gommone. Dove era lui quando quando la Serbia affondava?

E nemmeno la legge sull’editoria approvata ieri dal Parlamento aiuterà a superare questo conformismo, per quanto si avvicini agli standard europei e venga sostenuta da Brussels. Dico questo come qualcuno che non ha ricevuto l’appoggio di Brussels sulla proposta secondo cui per legge i media dovrebbero dichiarare le tipologie di aiuto che ricevono dallo stato nazionale come anche da stati esteri. Una parte dei miei colleghi ha sempre attaccato chi poneva la questione dei media finanziati dall’estero ma la UNS, l’Associazione dei giornalisti di Serbia, ha proposto che questo impegno entrasse nella nuova legge non ha ricevuto appoggio né da parte della coalizione dei media né da parte della NUNS, l’Associazione dei giornalisti indipendenti di Serbia. Inoltre la più grande associazione degli editori serbi ha scritto al Parlamento invitando a non accettare la nostra proposta. Nemmeno il Governo ha avuto attenzione verso la nostra proposta, per quanto Verica Barac abbia avuto da noi grande sostegno quando nel corso degli ultimi quattro anni raccoglieva dati sui media e i giornalisti in un lavoro lautamente finanziato dal bilancio statale, che sarebbe molto interessante e utile avere la lista dei quotidiani e delle riviste che vengono finanziate da stati esteri. Perché non vediamo quanto si investe in essi e se vi sono correlazioni tra le scelte editoriali e gli interessi dei finanziatori. Nessuno credo dubiti che vi è sempre una relazione tra il lavoro fatto e chi lo ha pagato. Quale è la differenza tra le agenzia di stampa Tanjug, Beta e Fonet? Quale tra Politika e Danas? Quanto conta l’origine del denaro investito in essi? I lettori hanno o no il diritto di sapere queste cose?

L’Unione europea non ha alcun motivo di lamentarsi dei nostri media, su cui di essa si parla sempre in termini positivi o al massimo neutrali. Che si tratti di censura o di autocensura non cambia nulla. Probabilmente Brussels non si sarebbe opposta alla nostra proposta, sostenuta dal ministero della cultura, ma siamo oramai entrati in un circolo vizioso in cui gli apparati dello stato vogliono assecondare sempre gli esperti di Brussels.

Abbiamo tuttavia ottenuto l’appoggio del Partito Democratico e Borislav Stefanovic e Dragan Sutanovac hanno fatto propria la proposta presentando un apposito emendamento e gliene sono grata, lo scrivo sinceramente, anche se non abbiamo avuto successo.

Credo in sostanza che il miglior risultato sarebbe che il governo combattesse per la libertà in cui ha creduto quando stava all’opposizione. O che l’attuale opposizione avesse combattuto per la libertà di stampa quando era al potere.

L’articolo, tradotto da Biagio Carrano e Matteo Marazzi, è stato pubblicato sul quotidiano Politika il 3 agosto

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