Per gentile concessione di Tena Prelec e EUROPP – blog di politica europea della London School of Economics.
Il leader dell’opposizione serba Saša Radulović, ex ministro dell’Economia e leader del movimento Dosta je Bilo (“è abbastanza”), ha piani ambiziosi. Nel corso di un’intervista con l’editor di EUROPP, Tena Prelec, riflette sul motivo per cui, secondo il suo parere, la Serbia avrebbe smarrito la sua strada da quando Aleksandar Vučić è salito al potere, racconta nel dettaglio il blackout mediatico sofferto dal suo movimento, e spiega come sia stata artificialmente costruita, con l’appoggio delle élite politiche della Serbia, l’immagine della Russia quale paese alleato e protettore del popolo serbo. Come rivela, il suo piano è quello di correre per le prossime elezioni a Belgrado, da dove spera di ottenere maggiore visibilità per se stesso e per il proprio movimento, al fine di lanciare una forte campagna nel prossimo elezioni parlamentari, e di creare un precedente in termini di buon governo.
Saša Radulović è restio a dipingere se stesso come un politico alla stregua degli altri in Serbia. Decisamente non ama giocare secondo le regole stabilite dal gioco: è scarsamente presente nei media tradizionali, non asseconda la retorica nazionalista e non è in cerca della protezione delle istituzioni occidentali. Il movimento da lui fondato dopo le dimissioni dal suo incarico ministeriale nel gennaio 2014 è diventato un partito di opposizione relativamente consistente all’interno del parlamento serbo, ma, con il 6% dei voti dopo le elezioni nell’aprile 2016 votazione, è ancora ben lungi dall’ottenere il supporto necessario per governare il paese.
Scrollarsi di dosso l’apatia
Alla luce di queste ambizioni, perché non cercare un finanziamento tra donatori facoltosi o adottare strategie che permettano loro di entrare in possesso di quella parte di voti di cui beneficiano attualmente i concorrenti?
“Noi non lo facciamo perché non è ciò che siamo. Non stiamo cercando di rubare elettori dai partiti esistenti, ma di scuotere la gente dal suo stato di apatia”, spiega Radulović. In definitiva, sostiene, sarebbe anche una pessima pubblicità agli occhi del pubblico. La più grande obiezione che gli elettori muovono al movimento è piuttosto: “come facciamo a sapere che siete diversi? Come facciamo a sapere che, una volta arrivati al potere, non vi comporterete come tutti gli altri?”. Saša Radulović non ha problemi a rispondere a queste perplessità: “Sono già stato al potere: disponevo di un budget di € 300 milioni. Non ho preso un centesimo di esso, e non ho permesso a nessuno di farlo. Ho cercato di ripulire il sistema, e quando non era più possibile farlo, mi sono dimesso. Avrei dovuto essere un uomo veramente stupido per creare la mia organizzazione politica da zero, intraprendere una campagna senza fondi, rifiutare di entrare in una coalizione con qualsiasi altra parte e alla fine vincere le elezioni – solo per poi tornare indietro per fare ciò che tutti solitamente fanno. Se avessi preferito quella soluzione, avrei conservato la mia posizione”.
In questo caso il leader di Dosta je bilo fa riferimento alla sua esperienza in qualità di Ministro dell’Economia durante il primo governo Vučić, una posizione che Radulović ha conservato per cinque mesi, dal settembre 2013 al gennaio 2014. La realtà di cui ha potuto fare esperienza in quel periodo è stata descritta da un suo stretto collaboratore, il ricercatore Dušan Pavlović, nel libro ‘Money-wasting machine: Five months at the Ministry of the Economy’. Radulović e Pavlović sono legati da un’amicizia di lunga data, avendo fatto parte entrambi della scena pop rock jugoslava tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Il libro fornisce un resoconto scarno e severo, da una prospettiva interna, del funzionamento dell’Agenzia di Sviluppo della Serbia (ex SIEPA), dell’Agenzia per la privatizzazione, del Fondo per lo sviluppo della Serbia, e del Ministero dell’Economia in sé – tutti enti accusati di cattiva gestione dei fondi pubblici, nepotismo ed endemica corruzione.
La versione alternativa della Serbia che Radulović intende promuovere è quella di un paese che si lascia alle spalle il mito di un onnipotente “zar” e che abbraccia invece l’ideale di una società giusta per tutti: “la Serbia non ha bisogno di un leader. La Serbia ha bisogno di un sistema equo e di regole che siano uguali per tutti. Ha bisogno di leggi che vengano rispettate, di istituzioni indipendenti, e di abbandonare la ‘partitocrazia’, vale a dire il sistema attuale in cui il governo de facto controlla tutte le altre forze. Questo sistema ha creato un vero e proprio Stato nello stato. La nostra missione è di smantellare questo sistema e di sostituirlo con un sistema di regole uguale per tutti”.
La prospettiva di Radulović è regionale: la Serbia è afflitta da problemi che non le sono esclusivi, ma che possono essere riscontrati anche negli altri stati dei Balcani occidentali. In quest’ottica, l’obiettivo è quello di sostenere tutti i movimenti politici che condividono gli stessi ideali, come è accaduto durante le elezioni parlamentari in Croazia, con il sostegno al partito di nuova formazione ‘Pametno’ (che però non è riuscito a superare la soglia richiesta per ottenere la rappresentanza in parlamento).
La sfida alle urne
Il movimento si lamenta apertamente di soffrire di un blackout da parte dei media. Jasmina Nikolić, segretaria generale del partito, spiega che la difficoltà di raggiungere le masse attraverso i media tradizionali li ha spinti a promuovere una sola figura riconoscibile (Radulovic stesso), trascurando altri attivisti chiave. Nikolić è preoccupato del fatto che questo li ha relegati in una posizione apparentemente difensiva, piuttosto che renderli parte attiva del dibattito in relaazione al programma concreto del movimento. Con le loro limitate apparizioni televisive e la scarsa presenza sulla carta stampata, il movimento ha concentrato la propria campagna di comunicazione prevalentemente sui canali social via web. Pur combattendo contro questi limiti, la tornata elettorale in Aprile ha consacrato Dosta je bilo quale rivelazione, assegnando al movimento sedici seggi in parlamento. Al contrario, le urne hanno riservato una brutta sopresa a Vucic, il cui partito ha in primis sostenuto la necessità della chiamata alle urne, perdendo però la maggioranza assoluta. All’indomani delle elezioni, la formazione del governo si è rivelata un compito difficile, per completare il quale ci sono voluti cinque mesi.
Anche se è al momento è solo quarta tra le forze politiche del paese, Dosta je bilo si proclama quale unica vera opposizione nel paese. Dopo i progressisti di Vucic (che ancora dominano il parlamento nonostante le recenti perdite), i due partiti che hanno riscosso maggiore successo in aprile sono stati il Partito socialista di Ivica Dacic (attualmente in una coalizione de facto con Vučić) e il Partito radicale di Vojislav Šešelj – un partito di estrema destra che rappresenta, per Radulović, una ‘falsa opposizione’.
Alle urne, il movimento ha ottenuto una percentuale di voti considerevole della diaspora da Londra (oltre il 40 per cento dei votanti dalla capitale inglese ha sostenuto il movimento). Ha anche registrato una dimostrazione di forza a Belgrado; secondo sondaggi interni, il sostegno al movimento è raddoppiato nella capitale serba dopo le elezioni. Ed è proprio da Belgrado che Radulović intende avviare la sua prossima offensiva, candidandosi alle elezioni comunali che, ufficialmente previste nel 2018, potrebbero essere anticipare al 2017 in concomitanza con le elezioni presidenziali serbe.
Nel portare avanti la propria campagna di opposizione al progetto Belgrade Waterfront, Radulović ha sostenuto quello che è diventato senza dubbio il movimento di protesta più diffuso in Serbia dalla caduta di Slobodan Milošević: marciando allo slogan di ‘Ne Da(vi)mo Beograd’, migliaia di belgradesi hanno ripetutamente espresso la loro opposizione per il progetto. Da parte loro, i membri di Dosta je bilo sottolineano che questa rappresenta solo una delle tante battaglie nelle quali sono impegnati, e che hanno da sempre contestato la legittimità costituzionale degli accordi previsti dal contratto. Il piano di Radulović è quello di riavviare il processo da zero, diramando un bando pubblico e redigendo un nuovo piano urbanistico per sezionare il territorio in lotti da vendere singolarmente. Essendo ben consapevole che una trasformazione del progetto allo stato attuale comporterebbe costi e una perdita di tempo considerevole, Radulović sostiene che in ogni caso ‘non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta’ e che, con il suo eccezionale valore, il terreno in questione potrebbe rendere molto di più alla casse pubbliche restando proprietà dello stato.
La minaccia dall’est e orecchie da mercante sul fronte occidentale
La Russia ha fatto un uso massiccio del soft power nei Balcani: durante le ultime elezioni di aprile, i media stranieri hanno coperto gli avventimenti ad esse legati interpretandoli come un test tra il partito di governo “proUE” e l’avanzata delle forze nazionaliste e filo-russe, i radicali di Seselj e i partiti di estrema destra DSS e Dveri. I commentatori politici hanno anche messo in evidenza come negli ultimi anni la Russia abbia incrementato il suo potere sulla scena mediatica. Anche se non nega l’interesse che la Russia ha nell’estendere la propria influenza nel contesto di territori di importanza strategica, Radulović racconta una storia diversa: “Sputnik Serbia non ha il potere di fare una grande differenza nella mente delle persone. Sono i grandi tabloid, come Informer e Sprski Telegraf, ad esercitare un’influenza maggiore. Queste pubblicazioni sono notoriamente vicino al premier, ma al tempo stesso continuano a conservare una posizione filo-russo e ad esaltare il ruolo di Putin. Ora dimmi, chi può guadagnarci da questo?”. Il suggerimento è che la “minaccia russa” sia stata in parte costruita dai media dominanti per mantenere viva la sensazione, in patria e all’estero, che qualcosa di decisamente brutto potrebbe accadere se il partito al governo attualmente cadesse. Anche se questa affermazione non può essere provato, è resa più evidente dalla fiducia che le istituzioni occidentali hanno riposto in Vučić.
Considerando i valori fondanti il movimento Dosta je bilo, il partito verosimilmente dovrebbe godere dell’appoggio degli attori internazionali, ma sinora questo non è accaduto. Quando gli si chiede perchè non abbiano provato a guadagnarsi la simpatia dei funzionari UE e delle ambasciate occidentali, Radulović e Nikolić rispondono irremovibili: “Abbiamo cercato più volte di esporre il nostro punto di vista su aspetti negativi, ma abbiamo sempre solo sentito una risposta da parte dei funzionari occidentali – ‘Riteniamo che la Serbia di essere sulla strada giusta’ – anche se, chiaramente, ciò che stiamo cercando di denunciare non sarebbe tollerato nei loro paesi”.
La via scelta, quindi, è quello di fare tutto autonomamente – senza alcun sostegno da parte dei media tradizionali, senza supporto esterno, e senza grandi donazioni dall’estero – nella convinzione che un rapporto serio con le istituzioni dell’UE sarà possibile solo dopo una chiara e decisa affermazione attraverso il voto. Il compito sembra arduo ma Radulović è impassibile: “Vinceremo alle elezioni comunali di Belgrado del prossimo anno, vinceremo alle prossime elezioni parlamentari, e sarò il prossimo Primo Ministro della Serbia”.
Tena Prelec, London School of Economics e Università del Sussex
Tena Prelec è redattrice del blog EUROPP – European Politics and Policy della London School of Economics e dottore di ricerca ERSC all’Università del Sussex. I suoi principali ambiti di ricerca riguardano la transizione economica e politica dei paesi dei Balcani occidentali.
This post is also available in: English